Giovedì 2 Febbraio 2017 il nostro gruppo di lettura ha avuto l’onore di presentare il libro “Una volta l’estate” di Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi. La bellezza del libro, la simpatia e la bravura degli autori hanno reso unica e meravigliosa questa esperienza.
I due autori sono entrambi collaboratori della scuola Omero. Ilaria Palomba ha pubblicato romanzi e racconti che sono stati tradotti anche in tedesco, francese e inglese ed è vincitrice del premio letterario indipendente Carver. Luigi Annibaldi collabora come docente e editor presso la già citata scuola Omero, ha pubblicato racconti su riviste come Linus e conduce corsi di narrativa nella capitale.
Ecco l’intervista fatta da Nicole e Paola agli autori:
[NICOLE]: La vostra prima esperienza di scrittura a quattro mani, questo breve romanzo che ho amato molto per lo stile così incalzante ed evocativo, per come siete riusciti a far calare il lettore nel racconto delle ansie, del lento logorarsi della vita dei protagonisti attraverso simbolismi precisi e riferimenti all’arte che sono stati una delle cose che ho apprezzato maggiormente, ha una trama davvero molto particolare.
La protagonista della narrazione Maya, è un’artista estremamente originale. Trova nell’arte sollievo e la usa come unico modo per sentirsi libera e serena. L’incontro col marito Edoardo porrà fine a tutto questo, la porterà a dover limitare la sua personalità, ingabbiando la sua vita in un universo di quotidianità e ordinarietà che ben presto le starà stretto. La partenza del marito poi, militare che sarà costretto ad andare in missione in Medio Oriente, e la comparsa di un personaggio destabilizzante, distruggerà definitivamente il suo equilibrio di moglie e futura madre già precario.
Il personaggio in questione è Anya, una misteriosa postina che sembra essere ben altro, incontrerà Maya sempre in posti diversi, in ristoranti giapponesi, in periferia, in ricche dimore di uomini illustri, ogni volta spingendola a vivere le esperienze senza rinunce. Lo psichiatra di Maya cercherà attraverso i suoi ricordi di porre rimedio alla lenta disgregazione della sua mente creando una connessione fra l’infanzia di Maya, il piccolo Arturo che cresce nel suo grembo e il padre morto quando era bambina. La loro estate, quella di Edoardo e Maya sembra essere finita, ma forse c’è ancora una possibilità.
[PAOLA]: Questa per me è stata una lettura intensa di quelle che ti restano addosso per giorni anche dopo aver finito di leggere. La linea temporale è alterata, una serie voci si alterna per raccontare un pezzo della storia. È come se tra le pagine fosse avvenuta una sorta di esplosione, che ha confuso il tempo e le voci. Questa esplosione la stessa è la stessa che è avvenuta nell’anima di Maya, la protagonista. Il lettore insieme allo psichiatra di Maya è chiamato a raccogliere i vari frammenti e a dargli un ordine e un senso.
Il libro inizia così:
Una volta l’estate era una liberazione, non vedevo l’ora di essere là, sulle spiagge del sud, a correre in costume, mostrando quasi nudo il mio non corpo. Ero così diversa dalle donne e ne andavo fiera, non una bambina e neppure una vera donna, un ibrido, una non cresciuta. Mi consolavo dicendo a me stessa brevi frasi propiziatorie. Non vedere i contorni nella materia ma l’esistente, prendi le spiagge di Monet con dodici tonalità di turchese, tra le linee del cielo spariscono i confini. E così io vedevo. L’odore del mare lo trasformavo in carboncino, ne sfumavo i cardini e mi perdevo nel blu e nel porpora, dove non più di carne ero fatta ma di colore vivo.
Questo è un libro scritto a quattro mani e sorge dunque spontanea una curiosità: ognuno di voi ha dato voce ad un singolo personaggio o ogni personaggio parla con la voce di entrambi? Quanto c’è di vostro nei vari personaggi?
[LUIGI]: Inizialmente ognuno si è occupato di un personaggio, e non vi diciamo quali… poi li abbiamo rivisti insieme aggiungendo o tagliando scene e dettagli per dare equilibrio.
[ILARIA]: Sicuramente c’è una parte di noi in ogni personaggio, com’è necessario in ogni romanzo. L’autore pesca dal profondo qualcosa di ignoto dandogli una fisionomia umana. Questo accade sia che si tratti di una storia autobiografica sia nel caso in cui si è apparentemente lontani dal realismo.
[PAOLA]: Inoltre avete entrambi già scritto e pubblicato altri libri singolarmente, e quindi mi chiedo com’è scrivere un libro a quattro mani? È più difficile o è un’esperienza che fa crescere dal punto di vista artistico?
[LUIGI]: È più difficile perché si hanno ritmi diversi di scrittura ma può essere un’ottima cosa confrontarsi con uno scrittore che per stile e tematiche è diverso da te.
[ILARIA]: In quel caso ciascuno ha da imparare molto dall’altro.
[NICOLE]:
-Edvard Munch, la solitudine, il diniego del mondo dell’arte e l’Angoscia fluida, oscura, di carne. Vincent van Gogh, in quel l’ospedale psichiatrico. E mi sembra di vedere girasoli gialli, curvati e appesantiti dalla stessa angoscia. E mi sembra di vedere i suoi autoritratti così pieni di morte.
-Nei ricordi d’infanzia si spalancavano i colori. Gli Ulivi e i Limoni della vecchia casa di campagna dipingevano con lunghe pennellate i bordi del cielo. Papaveri rossi sulle colline del borgo campestre, contadine con lunghe gonne grigie e ocra, impressioni di vita nei chiarori dell’albore, all’orizzonte grovigli di nuvole, tra il bianco e il porpora, erano dita d’artista. È dalla notte del matrimonio che non ho più preso una matita in mano.
Con la lettura di questi due brani, evinciamo quanto l’arte sia di fondamentale importanza per Maya. Lei è un artista e l’impossibilità di dipingere unito alla vita di rinunce alla quale è costretta dopo il matrimonio la spegneranno, portandola a trovare rifugio molte volte nei ricordi. Contrapporrà il buio, l’ansia e il malessere citando numerose volte Munch e Van Gogh alla memoria di un passato felice evocandolo attraverso la tavolozza di colori tenui alla Monet.
L’arte riveste la stessa importanza che sembra avere per la protagonista nelle vostre vite? E quanto della Maya artista c’è in voi?
[ILARIA]: Credo che l’arte, intesa in senso ampissimo, sia come una vocazione. Quando hai questa vocazione, ma non riesci a trovare i canali per esprimerla, per portarla avanti, è come una potenza che si ritorce contro. L’arte può sia salvare che portarti alla dannazione. Non tutti hanno il coraggio o i mezzi per vivere della propria vocazione. Quando ciò non accade si è come in gabbia e invece di avere qualcosa di più degli altri si ha qualcosa in meno, si è dei diversi.
[LUIGI]: In questo senso, così universale, c’è molto di noi in Maya. C’è tutta la sofferenza di un dono che diventa dannazione.
[PAOLA]: Il titolo di questo libro è “Una volta l’estate” ed è proprio l’estate ad essere uno dei temi ricorrenti. È il sogno e il ricordo di una vita felice che c’era e che ora non c’è più e alla quale Maya cerca di tornare senza però riuscirci. L’estate appare più volte simboleggiata dalla Grecia. Come mai avete scelto proprio la Grecia per rappresentarla? Ha un significato particolare per voi?
[ILARIA]: Si tratta di un viaggio che i due protagonisti hanno fatto e che anche noi abbiamo fatto in passato e ci ha lasciato l’impressione di un mondo con linee temporali diverse dalle nostre. Forse perché era estate e viaggiavamo in macchina senza sapere dove andare. Quello che accadeva era tutta una grande meraviglia, inaspettata. I colori erano proprio i colori dei quadri impressionisti. E lì abbiamo avuto come la sensazione che esista un modo per stare bene, anche nella povertà, di godersi la vita in comunione con la natura, senza stare nella frenesia delle nostre capitali più competitive dove tutto è veloce e ansiogeno.
[LUIGI]: L’estate e la Grecia rappresentano un po’ il simbolo di una vita diversa che non insegue con i canoni del successo e l’obiettivo di arrivare primi ed essere perfetti.
[NICOLE]: Altro punto cardine del romanzo è il rapporto della protagonista con i genitori. Se da un lato il rapporto con la madre risulta essere ricco di contrasti dati dall’intransigenza della donna che sembra non capirla, dall’altro c’è il ricordo del padre avvolto da un alone di malinconia e tenerezza.
In particolare sentiamo che col padre lei abbia un legame più profondo. A questo proposito, numerose volte viene nominato un regalo del genitore, un braccialetto. In che modo esso incide sulla stabilità psichica ed emotiva di Maya? Avete anche voi un oggetto al quale siete particolarmente legati e la cui perdita potrebbe destabilizzarvi?
[ILARIA]: Il padre è l’eterno assente e in quanto tale, visto che scompare quando Maya ha sette anni, non può che essere idealizzato. Poi è una figura contraddittoria. Lei lo immagina come il bene assoluto, così come vede sé stessa. Ma in realtà c’è sia il bene e il male in ognuno di noi, quando si cerca di ottundere in negativo, riemerge con maschere mostruose.
[LUIGI]: Il braccialetto è una specie di amuleto per Maya e infatti le cose si complicano nel momento in cui non se lo trova più al polso. Sono importanti i simboli con cui si conferisce significato al reale. Se ho deciso che un oggetto è magico e lo perdo sarò portato a ricollegare tutti gli eventi negativi della mia esistenza a partire dalla perdita di quell’oggetto.
[ILARIA]: Una volta avevo una pianta di peperoncino…
[LUIGI]: Una volta avevo un anello…
[PAOLA]: I personaggi narranti in questo libro hanno delle personalità ben caratterizzate e distinte e ognuno è rappresentato da un registro linguistico ben definito. Si passa dal linguaggio sublime e poetico di Maya a quello pragmatico di Edoardo. È proprio questa differenza, questa incompatibilità del mondo dell’arte rappresentato da Maya e del mondo geometrico e matematico rappresentato invece da Edoardo, a causare la frammentazione di Maya? Queste due visioni del mondo sono troppo diverse per poter coesistere secondo voi? E voi in quale vi rispecchiate maggiormente?
[ILARIA]: Maya rivede in Edoardo le regole che ha cercato di darle sua madre (senza successo) e si convince che arrivata a trent’anni e non avendo realizzato quello che voleva (diventare una grande artista) sia necessario rientrare nei ranghi della società civile e vede in Edoardo questa possibilità, di darsi delle regole. Il guaio è che sono regole esterne a cui è sempre tentata di ribellarsi.
[LUIGI]: Al contrario Edoardo è attratto da Maya perché lei è la meraviglia del mondo che gli manca e che forse lo riporta a quando era bambino. Questi mondi sono destinati a scontrarsi finché l’uno cercherà di cambiare l’altro, cercando di sottometterlo. Certamente ci sono altre possibilità di stare insieme senza che l’uno riduca a sé l’altro. Ed è quello che nel corso della storia è proprio la prova di fuoco attraverso cui passeranno. Siamo stati Maya ed Edoardo fin dall’inizio, portando però alle estreme conseguenze le nostre personalità.
[PAOLA]
Il corpo graffiavo, tutto, con la spugna. Fino a metterci le unghie. E lasciarmi segni. E farmi il sangue sulle braccia. E ai capezzoli. E all’ombelico. Questa pancia. Questa pancia. Un corpo estraneo.
Le differenze tra Maya ed Edoardo come abbiamo detto sono tante, e si rivelano anche nella decisione di avere un bambino. Maya infatti rifiuta fin dall’inizio del suo rapporto con il marito l’idea di una gravidanza e anche quando rimane incinta, continua a sentire come estranea la vita che le cresce dentro. A cosa è dovuto questo forte rifiuto della maternità da parte della protagonista?
[ILARIA]: Ci sono molte interpretazioni. Se seguiamo l’interpretazione psicoanalitica accade spesso, in determinati disturbi di personalità, dove il problema è che non c’è un’unità tra i vari frammenti del sé, che al momento della gravidanza la donna possa sentire come estraneo il corpo che le cresce dentro. Poi c’è la vicenda esistenziale, di cui parlavamo prima, per cui Maya si è sforzata di fare una serie di passi definitivi per poter essere come secondo lei una donna deve essere dopo i trent’anni. E quando questo avviene con una forzatura c’è una parte del sé che continua a ribellarsi e a far valere i bisogni più profondi che la protagonista ha voluto obliare.
[NICOLE]:
Infilo ancora il dito nell’ombelico. Tiro fuori un filo. Da un’estremità indice e pollice tirano fuori, l’altra estremità, è ancora immersa nell’ombelico. Tiro e tiro e tiro, il filo è lungo, fino a quando non sento qualcosa pungermi e infilzarmi l’ombelico da dentro. Urlo. Mi piego in due per guardare meglio cosa stia succedendo al mio ombelico. Vedo una punta metallica venire fuori da lì dentro. Tiro poco poco il filo e vedo che quella cosa metallica è collegata al filo. Più tiro il filo più la punta metallica vuole venire fuori, con l’idea di squarciarmi la pancia. Tiro, tiro forte comunque. Dall’ombelico si apre uno strappo e si libera un amo sanguinante. Avvicino l’amo agli occhi per vederlo meglio. È un amo da pescatore. Che cazzo ci fa un amo da pescatore nel mio ombelico?
Inizialmente ci ritroviamo a pensare che Edoardo desideri un bambino al contrario di Maya, ma questo incubo mi ha portata a riflettere e ha insinuato il dubbio. Cosa rappresenta questa sua idea di essere morso da qualcosa che si trova all’interno della sua pancia? È semplice paura o nasconde altro, un rifiuto del ruolo di padre e marito?
[LUIGI]: In realtà in quel momento Edoardo inizia a comprendere Maya, ne sente la sofferenza (a modo suo) inizia a entrare davvero in empatia con lei. Lo ha sempre saputo ma ha fatto finta di niente. E si sa, questi pensieri prima o poi vengono a galla. L’incubo è un momento determinante nella storia, dove Edoardo inizia il percorso da Ulisse che vuole tornare da Penelope.
[PAOLA]
Sono stata in pineta. Mi sentivo sola. Ho guardato le fronde muoversi. Erano mani. Mani verdastre sulle nuvole. Ho chiuso gli occhi. Ho inspirato il vento. Ho pensato che fossi esattamente dove desiderassi essere. Ho pensato di non agire. Di non tornare. Di restare lì. Tra quelle mani. Nel dominio del vento. Senza decidere. Senza scegliere. Senza rischiare di avere un ruolo. Una responsabilità.
Ho riaperto gli occhi. I colori del cielo erano mutati. Allora mi sono detta: lo vedi, Anya? Se non scegli tu sarà l’esistenza a farlo per te. Il cielo sfumava, si faceva rosso, viola e blu notte, sempre più simile al buio. Alcuni aghi si sono staccati dai pini. Sono volati via. Mi hanno colpita. Le fronde erano scure e non potevo distinguerne i tratti. Come un pugno in faccia, tutto, mi ha colpita. Ho sentito l’inesistenza. Ho scelto di tornare a casa. In questa casa. Ho scelto di esistere: dispiegare la mia volontà contro tutto quanto desiderasse colpirmi. Sono qui, Maya. Esisto. Più di quanto tu riesca a immaginare.
Anya è forse il personaggio più enigmatico della storia. Dalla lettura della prima pagina sembra essere una criminale dal momento che ha rapito il bambino di Maya. Nel corso invece della lettura si scopriranno invece delle verità diverse sul conto di questo personaggio. Cosa potete dirci su Anya?
[ILARIA]: Anya è l’ago della bilancia, rappresenta l’Es dal punto di vista psicanalitico. La pulsione a vivere tutto quello che le passa per la testa per il semplice piacere di farlo e a spese del prossimo. Per lei Maya sta rinunciando a sé stessa con questo bambino. Nessuno, neanche i criminali, agiscono pensando di fare del male. Ciascuno agisce pensando alla sua personale idea di giustizia.
[LUIGI]: Certo, quando questa personale idea di giustizia si scontra radicalmente con il senso comune si compiono atti talvolta orrendi. Sia Maya che Anya vivono uno squilibrio, l’una pensando di non poter realizzare nulla di quel che desidera, l’altra pensando di poter fare tutto.
[NICOLE]: Giungendo alle ultime pagine del romanzo, il quadro della vita dei due protagonisti sembra ancora incompleto, aprendo alla possibilità di un’ultima pennellata. L’inverno fatto di rassegnazione nel quale si trovano i personaggi avrà mai fine? Riuscite a vedere per loro una nuova Estate?
[LUIGI]: L’idea è che a partire dal finale ci siano le basi per una ricomposizione dei frammenti. La tragedia dopo essersi compiuta lascia le tracce per un percorso nuovo, un nuovo punto di partenza.
[ILARIA]: Vivere con gli altri in generale non è una cosa facile così come non è facile vivere con sé stessi, considerando quante alterità ci abitano, bisogna trovare l’equilibrio e la mediazione tra i desideri dell’io e le strutture del mondo.