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La fattoria dei gelsomini – Elizabeth von Arnim

L’11 gennaio è uscito, in tutte le librerie italiane, il terzo romanzo di Elizabeth von Arnim rieditato e con una nuova traduzione a cura della Fazi Editore.

L’anno scorso avevo letto e adorato Un incantevole aprile, un libro estremamente rilassante, dai colori tenui e dai profumi primaverili. Mi aspettavo qualcosa di simile in questo romanzo ed invece le mie aspettative sono state piacevolmente disattese. Ma andiamo per ordine.

Il libro si apre con la scena di un pranzo a Shillerton. Un pranzo tutt’altro che gradito. Infatti tutti gli ospiti non vedono l’ora che questo pranzo finisca in modo che ognuno possa andare per la sua strada senza dover ancora tollerare la compagnia di tutti gli altri.

Su di una cosa sono tutti d’accordo: questo non è un soggiorno degno della padrona di casa, Lady Midhurst, sempre attenta ad ogni minimo dettaglio e a far sentire a proprio agio i suoi ospiti.

Ospiti che rappresentano le categorie più disparate della società: dal vecchio vescovo che cerca di essere amico dei giovani, al contabile anziano sposato con un’avvenente donna con cui però non ha nulla da spartire, passando per la nobiltà inglese composta da lady e lord di ogni età.

Questo week-end sembra iniziato male ma nessuno immagina che finirà anche peggio. Perché se ora Lady Midhurst è solo perseguitata da un dubbio, al rientro nella sua residenza londinese scoprirà che quel dubbio è una spregevole realtà e che l’ombra di uno scandalo sta velocemente cadendo su di lei e sulla figlia. E questo scandalo porterà la nobile vedova a fuggire da Londra per rintanarsi in una località della Costa Azzurra nella sua Clos des Jasmins.

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Punto fermo nello stile di Elizabeth von Arnim è la capacità di mettere a nudo l’animo umano. Preoccupazioni, segreti, ambizioni più o meno lecite e ricatti vengono ben amalgamati e raccontati dalla sua abile penna.

Non solo viene svelata la psiche della protagonista ma anche quella di tutti gli altri personaggi che compongono questo romanzo e ruotano attorno alla vicenda. Il tutto con una struttura assolutamente lineare che permette al lettore di passare da un punto di vista all’altro senza difficoltà.

Lo stile è pulito, limpido. La narrazione è scorrevole, elegante e venata di quell’ironia tagliente che riesce a raccontare la realtà dei salotti dell’aristocrazia londinese e dell’ipocrisia che li pervade dietro cui si nascondono meschinità, ricatti e sotterfugi.

Un romanticismo spinto ma non sentimentale ed un ardore venato di cinismo pervadono l’intero romanzo che io sento di consigliare a tutti gli amanti della letteratura britannica.


SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Fazi Editore
Pagine: 347
Prezzo: 15.00€

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Consigli pratici per uccidere mia suocera-Giulio Perrone

 

Non fatevi ingannare dal titolo! Consigli pratici per uccidere mia suocera non vi fornirà idee bizzarre su come sbarazzarvi di una suocera che odiate; vi farà sorridere, riflettere e poi pensare: “Questa potrebbe essere la storia di quel mio amico, quello perennemente indeciso, quello che non sa cosa ne sarà del suo futuro. E che gliene importa dell’età che avanza!!!”.Perché sì, il nuovo libro di Perrone racconta la storia di un uomo ordinario che lavora, come tanti, da precario nell’editoria, che non ha una vita sentimentale definita e che ha alle spalle un padre che può solo creargli problemi.

“Uno dei vantaggi d’essere stato bambino negli anni Ottanta è che i gusti del gelato erano pochi, scegliere era facile.”

Già dall’incipit del romanzo è chiaro che il protagonista del racconto ha sempre avuto problemi con le decisioni, persino le più banali.
Leo, questo è il nome dell’uomo, viene dipinto da Perrone come un bambinone eternamente combattuto fra il voler prendere posizione e il tirarsi indietro. Rifugge dalle responsabilità che per chiunque sono diretta conseguenza del crescere, del diventare indipendente.

Nonostante l’età non ha ancora un’idea precisa di ciò che ne sarà della sua vita.

La sua vita sentimentale, come se non bastasse, è in equilibrio precario: la sua ex moglie Marta, lasciata per una donna più giovane, diviene la sua amante e Annalisa, la giovane donna per la quale ha divorziato, diviene sua compagna. Come risultato Leo si ritrova conteso ma allo stesso tempo terribilmente solo; è come se non riuscisse a vedersi in futuro sistemato e con prole o comunque maturo. Consapevole di questo suo problema si avvarrà dell’aiuto di un analista.

“Ho inseguito i miei sogni a metà e ho lasciato che una folata di vento li portasse via.”

A questo quadro già estremamente delicato, si aggiunge la sua situazione lavorativa instabile che sta alla base del titolo del romanzo. Lo stravagante proprietario della casa editrice per la quale lavora ha spesso idee particolari e il trovare un modo originale per uccidere la suocera è solo l’ultimo strumento che ha per decidere chi far lavorare ancora per lui e chi licenziare definitivamente.
Le varie chat riportate nel romanzo oltre agli appunti di Leo sulle morti più bizzarre, saranno a mio avviso, le parti più divertenti del libro.

 “Su Yahoo! Answers, nota fonte di saggezza, un tizio chiede numi.La migliore risposta è: “E chi le ammazza a quelle!”.Un altro si dà a una riflessione escatologica:”Secondo me certe suocere nemmeno la morte le leva dalle balle”.Riesco a trovare anche un’altra perla di sapienza poco sotto: “Di solito un paletto di frassino piantato nel cuore è sufficiente… Altrimenti prova con la luce del sole o l’acqua santa…””

Personaggio estremamente originale sarà il padre scapestrato di Leo, Dustin, eterno playboy, sempre senza soldi e invischiato in traffici strani con gente poco raccomandabile.

Giulio Perrone riesce con maestria e intelligenza ad alternare all’ironia del racconto della vita di un uomo come tanti, che nulla ha di speciale o di rimarcabile da dire, un tono più serio, che lascia spazio a riflessioni profonde sul rapporto padre/figlio, sul come gli uomini di mezza età di oggi stiano cambiando, sulla direzione che può prendere la loro vita e sulla fondamentale voglia di scappare dalle responsabilità.

“La compassione è la conseguenza della mia incapacità di stare vicino alle persone, io non so assorbire il dolore, la paura, la difficoltà degli altri e farmene carico. In fondo non sono tanto diverso da mio padre.”

Forse però c’è sempre tempo per cambiare, per fermarsi a riflettere e decidere di dare un taglio col passato prendendo in mano il proprio destino.

Vi consiglio la lettura di questo romanzo perché, oltre a farvi divertire, vi farà pensare. I problemi non si eliminano semplicemente alienandosi dal mondo (come spesso Leo farà, spegnendo il telefono, non rispondendo a chiamate e messaggi), bensì prendendo di petto le difficoltà e decidendo concretamente cosa fare, iniziando davvero a vivere.

Ciò che evitiamo di affrontare non sparisce mai del tutto: ritorna più forte di prima fino a quando la matassa non viene sbrogliata e si giunge ad una soluzione.

Cliccando sul link troverete l’intervista che Ilaria, Daniela e io abbiamo fatto a Perrone che ringrazio ancora per la disponibilità.

https://leggendoabari.wordpress.com/2017/05/22/consigli-pratici-per-uccidere-mia-suocera-giulio-perrone-intervista-allautore/

Scheda libro:
Autore: Giulio Perrone
Editore: Rizzoli
Costo: 18
Pagine: 254

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Consigli in pillole: 10 romanzi basati su storie vere da leggere assolutamente

Buongiorno lettori! Eccoci qui con il quarto appuntamento con la serie di articoli-consiglio riguardanti le categorie della Challenge 2017. Oggi parliamo di romanzi basati su storie vere. Ecco i nostri consigli in ordine casuale 🙂

P.s.
– per chi si fosse perso la nostra challenge, trovate tutte le info qui;
– per chi invece si fosse perso i precedenti “Consigli in pillole”:
Primo articolo: romanzi di formazione
Secondo articolo: romanzi epistolari
Terzo articolo: romanzo con titolo in lingua straniera

1. Marie Curie. Una vita – Susan Quinn

4046039_269059Personalmente ho sempre pensato che le donne abbiano una marcia in più. Ditemi ciò che volete ma quando ho letto la biografia di Marie Curie ne ho avuto la conferma. Polacca, cresciuta
in una nazione nella quale le donne non potevano accedere ad un’istruzione superiore e per questo costretta a trasferirsi in Francia dove ha frequentato la Sorbona, si è fatta strada con le sue sole forze in un mondo maschilista e governato dai preconcetti. Prima donna a vincere il Premio Nobel e una delle poche personalità ad averne vinti due in aree distinte, fisica e chimica. Nel libro grazie ai diari della stessa Curie e a documenti d’epoca, la Quinn indaga la vita di una scienziata fuori dal comune, dedita allo studio e alla ricerca come pochi. Il lettore potrà anche venire a conoscenza del suo lato più umano, di madre e modello per le sue figlie. È un dipinto completo della sua vita raccontata in ogni sfaccettatura ponendo l’accento sul suo viscerale attaccamento alla patria alla quale si sentirà sempre connessa fino alla morte.

2. Se questo è un uomo – Primo Levi

61dZugeFuJLScritto tra il 1945 e il 1947 questo romanzo racconta quanto vissuto dall’autore nel campo di concentramento di Monowitz. Si tratta di un’opera memorialistica in cui viene narrato tutto l’orrore che i deportati hanno patito ad opera dei tedeschi in quel periodo oscuro della nostra storia chiamato Olocausto. La psicologia e le dinamiche del gruppo di deportati sono la colonna portante di questa narrazione che guarda anche il lato ‘scientifico’ degli avvenimenti di quel periodo. Un libro crudo, doloroso e straziante che porta a conoscere quella che è stata una realtà bruttissima e a riflettere sugli errori ed orrori che un umano può arrivare a commettere.

3. L’amico ritrovato – Fred Uhlman

41qQQ+ajKoL._SX318_BO1,204,203,200_Primo libro di una trilogia conosciuta come La trilogia del ritorno (L’amico ritrovato – Un’anima non vile – Niente resurrezioni, per favore) racconta la storia di Hans, sedicenne di origine ebrea residente a Stoccarda. Un giorno del 1932 nella sua  classe verrà introdotto Konradin von Hohenfels, ragazzo di famiglia nobile di origini tedesche. Tra Hans e Konradin nascerà una bella ed intensa amicizia contraddistinta dalla purezza di due ragazzi ignari di tutto quello che sta per accadere intorno a loro. Poco dopo, infatti, in Germania salirà al potere Hitler ed Hans e Konradin si troveranno a dover affrontare le idee politiche dei genitori di quest’ultimo che odiano gli ebrei e non permetterebbero mai a questa amicizia di esistere.

4. Ai piani bassi – Margaret Powell

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Le memorie di Margaret Powell hanno ispirato la celebre serie tv Downton Abbey. In copertina infatti spicca una foto del maestoso Highclere Castle, che ha ospitato i set e il cast della serie. Si tratta della storia in prima persona di Margaret stessa che, figlia di una famiglia poverissima, si trovò costretta come tante giovani del suo periodo ad “andare a servizio” in giovane età. Spiritoso e irriverente, il libro ci illumina su quelle che erano le abitudini delle grandi famiglie nobili e della servitù che lavorava in queste immense tenute assicurando ai padroni cibo e pulizia rasentando quasi lo sfruttamento.

5. La ragazza con l’orecchino di perla – Tracy Chevalier

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La storia del celebre quadro di Jan Vermeer viene raccontata in questo romanzo di Tracy Chevalier. La vera identità della ragazza del dipinto in realtà non è ancora nota al pubblico, ma la storia viene debitamente romanzata e inserita all’intero di un contesto vero, ovvero quello della famiglia del pittore Vermeer e dei suoi emblematici quadri. Un’altra storia di povertà che costringe una giovane ad andare a servizio presso una famiglia benestante come era consuetudine all’epoca per garantire soldi alle proprie famiglie. La piccola Griet si trova quindi catapultata in una casa piena di intrighi e dovrà affrontare non pochi ostacoli tra cui le figlie del pittore, piccole vipere in erba e la moglie del pittore stesso, preoccupata per la sua posizione vacillante all’interno della vita di Vermeer.

6. Lion. La lunga strada per tornare a casa – Saroo Brierley

2941866-9788891507167Questo romanzo ha ispirato il film di recentissima uscita Lion, il cui nome è stato aggiunto da poco al titolo del libro. La storia è quella dell’autore stesso che a soli cinque anni, si ritrova a salire per sbaglio su un treno che lo farà approdare a Calcutta. Solo e senza sapere come tornare, il piccolo dovrà cercare di sopravvivere nella caotica città. Venticinque anni dopo però, ormai adottato e cresciuto in Australia, Saroo decide di voler rintracciare la propria famiglia ma gli unici dettagli che ricorda della sua casa sono un ponte e una cisterna. Passando le serate su Google Earth a scandagliare ogni singola linea ferroviaria indiana, Saroo riesce a scovare un luogo famigliare ma l’unico modo per avere un riscontro è partire e visitare quel luogo di persona.

7. Stupori e tremori – Amélie Nothomb

Le disavventure di Amélie cominciano quando viene assunta come interprete alla Yamamoto, una multinazionale giapponese. Nell’azienda svolge i compiti più disparati: prima postina, poi addetta alle fotocimage_bookopie , infine guardiana dei bagni. Ma perché questo declassamento continuo? Qual è stata la sua colpa? Aver svolto un lavoro che non le spettava, e pur dimostrando in questo modo la sua bravura, viene presa di mira dal suo capo Fubuki, che da quel momento diventerà la sua aguzzina. Amélie continua svolgere qualsiasi lavoro le viene chiesto con tutta la dignità che le rimane, cosa che fa sempre più rabbia alla carceriera.  Con questa storia autobiografica, l’autrice racconta quello che noi oggi definiremo mobbing in chiave leggera e con un umorismo assolutamente tagliente; ci parla di sé e dalla sua prima esperienza lavorativa in Giappone, ma soprattutto è proprio la società giapponese che ci descrive: un popolo dove la pressione sociale e lavorativa sono all’ordine del giorno e la competizione spietata è l’unico modo per farsi strada nella vita. Amélie riesce a far tesoro persino di questa esperienza e dal bagno del 43° piano, con lo scopino del gabinetto tra le mani, sogna casa sua: “Finché esisteranno finestre l’essere umano più umile della terra avrà la sua parte di libertà”. Finale assolutamente a sorpresa, che dimostra ancora una volta come la realtà possa essere più creativa di una qualsiasi storia.

8. Lessico famigliare – Natalia Ginzburg

lessicoE’ la storia della famiglia Levi, la famiglia dell’autrice. La stessa Ginzburg in un’avvertenza a inizio libro specifica che “Luoghi, fatti e persone sono reali. Non ho inventato niente: e ogni volta che, sulle tracce del mio vecchio costume da romanziera, inventavo, mi sentivo subito spinta a distruggere quanto avevo inventato.” Anche i nomi stessi, sono reali. La narrazione copre almeno quarant’anni, tra prefascismo, fascismo e post-fascismo. Si tratta di una famiglia ebraica ed antifascista, così forte dei suoi valori in un momento storico sbagliato, al cui interno nasce un vero e proprio lessico speciale, che plasma vari personaggi e li caratterizza. Una via attraverso la quale l’autrice stessa usa per ricordare: «Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido cloridrico”, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole». Uno scorcio famigliare affettuoso e ironico, drammatico e delizioso, una spaccato della civiltà italiana da scoprire.

9. Il cacciatore di aquiloni – Khaled Hosseini 

6730-IL CACCIATORE DI AQUILONI.inddLa storia di un amicizia all’interno di un mondo difficile, quella tra Amir e Hassan, in una terra fatta di controversie, difficoltà, in cui le donne si nascondono, e sembra impossibile per gli aquiloni, volare.  Un’amicizia che però viene segnata da una grave colpa. Sono trascorsi  molti anni, infatti, dal giorno in cui la vita di Hassan è cambiata del tutto ed Amir è rimasto a guardare, quando una telefonata nella sua casa di San Francisco lo coglie impreparato. Amir sa di dover tornare e di dover espiare il suo peccato, trovare il figlio di Hassan e redimersi una volta per tutte. Hosseini delinea la storia struggente di questi ragazzi in modo diretto e impeccabile, una lettura straziante ma tremendamente vera. 

10. Frida. Una biografia di Frida Kahlo – Hayden Herrera

Una biografia curata e approfondita ci racconta un’artista carismatica e intrigante. Herrera arricchisce la panoramica su Frida con stralci di lettere e pagine del suo diario. Nonostante l’incidente che le stravolse la vita, l’ottimismo e la voglia di vivere della nota artista furono immutati. La più grande pittrice messicana affrontò i suoi profondi amori e i suoi strazianti dolori con estremo coraggio. Anzi, trasformò la sofferenza in ispirazione. “Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà”. Consigliato a chi vuole conoscere la storia di una donna e un’artista fuori dagli schemi, misteriosa e passionale. Viva la vita!” . Viva Frida.

 

Autrici: dolcedany84londa92, yorukoe, Iridiel93NicoleZoiilariamoruso

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La vita degli altri di Neel Mukherjee

36801992-3656-4052-80f2-875ffb96d5d3“Chi può sfuggire a ciò che fin dalla nascita ha scritto in fronte?”

Con questa frase che ritroviamo in una delle prime pagine, comprendiamo come quello che ci apprestiamo a leggere non sia solo un romanzo familiare, ma più un’analisi culturale e sociale della condizione in cui si trovano a vivere i bengalesi negli anni ’60.

Già dal titolo del romanzo “La vita degli altri”, ci aspettiamo che l’autore Neel Mukherjee nato a Calcutta e finalista con questo gioiellino del Man Booker Prize 2015, si comporti come un investigatore, una spia, che è ovunque e ci racconterà ogni particolare della vita della numerosa famiglia Ghosh protagonista della narrazione.

Siamo nel 1967 nel centro di Bhabanipur, uno dei quartieri più ricchi della Calcutta nord, catapultati nella quotidianità di questo miscuglio eterogeneo di personaggi che ben presto ci confonderà e destabilizzerà a causa anche dei numerosi appellativi e nomi che dovremo far nostri.

Nell’affresco familiare dipinto con maestria e grazia da Mukherjee, si staglieranno le figure di Baba e Ma e della famiglia di Adinath, erede che dovrà gestire le ricchezze dei Ghosh, Bholanath il più giovane della famiglia, dirigente della Charu Books, il secondogenito Priyo e Purba.

Ma le grandi fortune dei Ghosh non sembrano avere origini limpide e quello che accadrà dal ’67 in poi sembra quasi opera di una mente superiore che cerchi di punirli per lo sfruttamento e i guadagni derivanti dalla rovina altrui.

“Chissà com’è, farsi spremere fino all’ultima goccia di sangue (e di terre) senza poterci fare niente. È come finire nelle sabbie mobili: più ti agiti, più sprofondi? Quanto ci vuole per spezzare un uomo (spezzarlo fisicamente) come si spezza una bestia da soma che lavora sostenendosi con una minima parte della razione che gli sarebbe necessaria?”

Da questo sfondo di povertà e miseria, si fanno spazio le figure dei cinque figli dei Ghosh, quattro maschi e una femmina Chaya, scura come la pece, strabica e senza più possibilità di trovare marito nonostante gli sforzi dei genitori.
Poi ci sono i nipoti, gli emarginati, quelli che vengono relegati ai piani bassi della lussuosa palazzina a quattro piani in cui vivono, affinché non possano godere del lusso e del benessere della famiglia alla quale appartengono.

Il mondo femminile poi pare a se stante. I rapporti fra le donne della famiglia sono ricchi di invidie, rivalità, gelosie di ogni tipo, liti… persino fra madri e figlie non sembra esserci autentico affetto.

Di questo tomo impegnativo, vivo, ricco di spunti di riflessione non ci si annoia mai, fino all’ultima pagina, in quanto l’autore, con sapienti cambi di punti di vista, riesce a mantenere costante la nostra attenzione.

Si passa dalla storia dell’anziano Prafullanath, al morboso legame di Priyo e Chaya, al genio della matematica Sona, al servo accusato di furto, tutto permeato dall’atmosfera calda e in rivolta del Bengala degli anni ’60.

Proprio in relazione ai tentativi di ribellione della popolazione bengalese, figura importante e voce narrante parallela a quella dell’autore, sarà quella di Supratik, nipote maggiore dei Ghosh che deciderà di andar via di casa, abbandonando così un futuro certo e privo di preoccupazione per unirsi ai Naxaliti del Medinipur nell’ovest del Bengala, ribelli maoisti che con la violenza e la lotta armata reclamano la ridistribuzione delle ricchezze e delle terre per gli sfruttati lavoratori delle piantagioni di tè, quelli la cui vita conta e vale niente.

Le scelte politiche di Supratik, coraggiose ed estreme ci fanno pensare.

Anche noi al posto suo, nato fortunato in una famiglia abbiente e senza apparenti problemi, saremmo disposti ad abbandonare tutto per difendere un ideale? La paura ci frenerebbe?

Libro assolutamente consigliato specialmente per chi non è solo in cerca di intrattenimento ma di una lettura che anche dopo giorni ti lascia qualcosa sotto la pelle che senti farà parte di te per un lungo periodo.

Scheda libro

Autore: Neel Mukherjee

Editore: Neri Pozza

Pagine: 605

Costo: 20 euro

In collaborazione con Thrillernord

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“Unforgiven” – Lauren Kate

Il 12 gennaio scorso è stato pubblicato da Rizzoli un nuovo romanzo facente parte della saga Fallen di Lauren Kate. Il romanzo in questione è Unforgiven.

Questo quinto romanzo segna un po’ l’inizio di una nuova saga avete come protagonista l’angelo caduto Cam che, ispirato dall’amore eterno tre Lucinda e Daniel, decide di cercare l’unica ragazza che lui abbia mai amato durante il corso della sua vita immortale: Lilith.

Quello che Cam ignora è che, a causa di qualcosa accaduto dopo la loro rottura, l’anima di Lilith è stata condannata da Lucifero a vivere in eterno mille inferni che si concludono tutti, inevitabilmente, con la morte della giovane.

Per salvare Lilith, Cam è costretto a stringere un patto con Lucifero: ha quindici giorni a disposizione per riuscire a farla innamorare di nuovo. Al termine di questi quindici giorni, se riuscirà nel suo intento, lui e Lilith saranno liberi. In caso contrario, Cam sarà relegato nell’Inferno come braccio destro di Lucifero.

Inizia così la sfida di Cam. Dovrà scontrarsi con l’odio viscerale ed apparentemente immotivato che Lilith nutre nei suoi confronti e con i sotterfugi ideati da Lucifero per far fallire l’opera dell’angelo caduto. Inoltre, in questo inferno creato su misura per lei, Lilith è una ragazza sola ed emarginata, vittima di bullismo e violenza psicologica, senza sogni né speranze per il futuro.

Ma non sarà né la perdita del suo bell’aspetto fisico né le varie astuzie malvagie del Diavolo a far desistere Cam. Forte dell’amore che prova per Lilith e della speranza che la storia di Luce e Daniel gli hanno trasmesso, farà di tutto per riconquistare la sua amata e la loro libertà. Soprattutto dopo aver scoperto per quale motivo l’anima di Lilith è condannata a subire tutto ciò.

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Ritroviamo, in questo nuovo romanzo, alcuni dei personaggi che abbiamo amato nella precedente saga: Arianne, Roland e Cam che qui è il protagonista. Luce e Daniel vengono spesso nominati e li rincontriamo anche in un flashback riguardante i primi incontri di Cam e Lilith.

Devo ammettere che avere Cam come protagonista aveva fortemente risvegliato in me delle altissime aspettative. Che, ahimè, sono state disattese. Per quanto la narrazione sia fluida e scorrevole come la Kate ci ha sempre abituati, quello che presenta qualche falla è proprio la trama. Nei precedenti libri siamo stati abituati a vedere un Cam carismatico, sagace e tagliente che, nonostante la sua scelta di schierarsi con Lucifero, era capace di gesti gentili e credeva nell’amicizia. In questo romanzo, di tutto questo, troviamo solo la parte “buona” di Cam. Si fa prendere dalla disperazione, ha momenti di dolcezza fin troppo melensi e, nonostante perseveri nella sua missione, si rivela quasi debole. La sua redenzione è fin troppo immediata e repentina.

Inoltre l’idea della lotta per raggiungere il lieto fine in nome dell’amore eterno era stata già così abbondantemente usata nei precedenti volumi che avrei preferito qualcosa di nuovo. Magari che riguardasse sempre la redenzione di Cam, ma in un contesto diverso.

La nota positiva è che il libro si fa leggere: scorre pagina dopo pagina e ti ritrovi alla fine senza quasi rendertene conto. Inoltre i titoli dei vari capitoli rappresentano il conto alla rovescia dei giorni a disposizione dell’angelo e ti mettono una certa ansia addosso. Nel mezzo ci sono capitoli flash back che ci raccontano il primo incontro tra i due protagonisti e cosa è successo a Lilith per ritrovarsi invischiata con Lucifero.

Tutto sommato una lettura piacevole per passare qualche ora in completo relax. Ma, sarò drastica, assolutamente non all’altezza della prima tetralogia. Ed il finale, che sembrerebbe aperto, non depone a suo favore.


SCHEDA DEL LIBRO:

Editore: Rizzoli
Pagine: 415
Prezzo: 18,00€

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Presentazione del libro “Una volta l’estate” di Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi

Giovedì 2 Febbraio 2017 il nostro gruppo di lettura ha avuto l’onore di presentare il libro “Una volta l’estate” di Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi. La bellezza del libro, la simpatia e  la bravura degli autori hanno reso unica e meravigliosa questa esperienza.

I due autori sono entrambi collaboratori della scuola Omero. Ilaria Palomba ha pubblicato romanzi e racconti che sono stati tradotti anche in tedesco, francese e inglese ed è vincitrice del premio letterario indipendente Carver. Luigi Annibaldi collabora come docente e editor presso la già citata scuola Omero, ha pubblicato racconti su riviste come Linus e conduce corsi di narrativa nella capitale.

Ecco l’intervista fatta da Nicole e Paola agli autori:

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[NICOLE]: La vostra prima esperienza di scrittura a quattro mani, questo breve romanzo che ho amato molto per lo stile così incalzante ed evocativo, per come siete riusciti a far calare il lettore nel racconto delle ansie, del lento logorarsi della vita dei protagonisti attraverso simbolismi precisi e riferimenti all’arte che sono stati una delle cose che ho apprezzato maggiormente, ha una trama davvero molto particolare.
La protagonista della narrazione Maya, è un’artista estremamente originale. Trova nell’arte sollievo e la usa come unico modo per sentirsi libera e serena. L’incontro col marito Edoardo porrà fine a tutto questo, la porterà a dover limitare la sua personalità, ingabbiando la sua vita in un universo di quotidianità e ordinarietà che ben presto le starà stretto. La partenza del marito poi, militare che sarà costretto ad andare in missione in Medio Oriente, e la comparsa di un personaggio destabilizzante, distruggerà definitivamente il suo equilibrio di moglie e futura madre già precario.

Il personaggio in questione è Anya, una misteriosa postina che sembra essere ben altro, incontrerà Maya sempre in posti diversi, in ristoranti giapponesi, in periferia, in ricche dimore di uomini illustri, ogni volta spingendola a vivere le esperienze senza rinunce. Lo psichiatra di Maya cercherà attraverso i suoi ricordi di porre rimedio alla lenta disgregazione della sua mente creando una connessione fra l’infanzia di Maya, il piccolo Arturo che cresce nel suo grembo e il padre morto quando era bambina. La loro estate, quella di Edoardo e Maya sembra essere finita, ma forse c’è ancora una possibilità.

[PAOLA]: Questa per me è stata una lettura intensa di quelle che ti restano addosso per giorni anche dopo aver finito di leggere. La linea temporale è alterata, una serie voci si alterna per raccontare un pezzo della storia. È come se tra le pagine fosse avvenuta una sorta di esplosione, che ha confuso il tempo e le voci. Questa esplosione la stessa è la stessa che è avvenuta nell’anima di Maya, la protagonista. Il lettore insieme allo psichiatra di Maya è chiamato a raccogliere i vari frammenti e a dargli un ordine e un senso.

Il libro inizia così:

Una volta l’estate era una liberazione, non vedevo l’ora di essere là, sulle spiagge del sud, a correre in costume, mostrando quasi nudo il mio non corpo. Ero così diversa dalle donne e ne andavo fiera, non una bambina e neppure una vera donna, un ibrido, una non cresciuta. Mi consolavo dicendo a me stessa brevi frasi propiziatorie. Non vedere i contorni nella materia ma l’esistente, prendi le spiagge di Monet con dodici tonalità di turchese, tra le linee del cielo spariscono i confini. E così io vedevo. L’odore del mare lo trasformavo in carboncino, ne sfumavo i cardini e mi perdevo nel blu e nel porpora, dove non più di carne ero fatta ma di colore vivo.

Questo è un libro scritto a quattro mani e sorge dunque spontanea una curiosità: ognuno di voi ha dato voce ad un singolo personaggio o ogni personaggio parla con la voce di entrambi? Quanto c’è di vostro nei vari personaggi?

[LUIGI]: Inizialmente ognuno si è occupato di un personaggio, e non vi diciamo quali… poi li abbiamo rivisti insieme aggiungendo o tagliando scene e dettagli per dare equilibrio.

[ILARIA]: Sicuramente c’è una parte di noi in ogni personaggio, com’è necessario in ogni romanzo. L’autore pesca dal profondo qualcosa di ignoto dandogli una fisionomia umana. Questo accade sia che si tratti di una storia autobiografica sia nel caso in cui si è apparentemente lontani dal realismo.

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[PAOLA]: Inoltre avete entrambi già scritto e pubblicato altri libri singolarmente, e quindi mi chiedo com’è scrivere un libro a quattro mani? È più difficile o è un’esperienza che fa crescere dal punto di vista artistico?

[LUIGI]: È più difficile perché si hanno ritmi diversi di scrittura ma può essere un’ottima cosa confrontarsi con uno scrittore che per stile e tematiche è diverso da te.

[ILARIA]: In quel caso ciascuno ha da imparare molto dall’altro.

[NICOLE]:

-Edvard Munch, la solitudine, il diniego del mondo dell’arte e l’Angoscia fluida, oscura, di carne. Vincent van Gogh, in quel l’ospedale psichiatrico. E mi sembra di vedere girasoli gialli, curvati e appesantiti dalla stessa angoscia. E mi sembra di vedere i suoi autoritratti così pieni di morte.

-Nei ricordi d’infanzia si spalancavano i colori. Gli Ulivi e i Limoni della vecchia casa di campagna dipingevano con lunghe pennellate i bordi del cielo. Papaveri rossi sulle colline del borgo campestre, contadine con lunghe gonne grigie e ocra, impressioni di vita nei chiarori dell’albore, all’orizzonte grovigli di nuvole, tra il bianco e il porpora, erano dita d’artista. È dalla notte del matrimonio che non ho più preso una matita in mano.

Con la lettura di questi due brani, evinciamo quanto l’arte sia di fondamentale importanza per Maya. Lei è un artista e l’impossibilità di dipingere unito alla vita di rinunce alla quale è costretta dopo il matrimonio la spegneranno, portandola a trovare rifugio molte volte nei ricordi. Contrapporrà il buio, l’ansia e il malessere citando numerose volte Munch e Van Gogh alla memoria di un passato felice evocandolo attraverso la tavolozza di colori tenui alla Monet.
L’arte riveste la stessa importanza che sembra avere per la protagonista nelle vostre vite? E quanto della Maya artista c’è in voi?

[ILARIA]: Credo che l’arte, intesa in senso ampissimo, sia come una vocazione. Quando hai questa vocazione, ma non riesci a trovare i canali per esprimerla, per portarla avanti, è come una potenza che si ritorce contro. L’arte può sia salvare che portarti alla dannazione. Non tutti hanno il coraggio o i mezzi per vivere della propria vocazione. Quando ciò non accade si è come in gabbia e invece di avere qualcosa di più degli altri si ha qualcosa in meno, si è dei diversi.

[LUIGI]: In questo senso, così universale, c’è molto di noi in Maya. C’è tutta la sofferenza di un dono che diventa dannazione.

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[PAOLA]: Il titolo di questo libro è “Una volta l’estate” ed è proprio l’estate ad essere uno dei temi ricorrenti. È il sogno e il ricordo di una vita felice che c’era e che ora non c’è più e alla quale Maya cerca di tornare senza però riuscirci. L’estate appare più volte simboleggiata dalla Grecia. Come mai avete scelto proprio la Grecia per rappresentarla? Ha un significato particolare per voi?

[ILARIA]: Si tratta di un viaggio che i due protagonisti hanno fatto e che anche noi abbiamo fatto in passato e ci ha lasciato l’impressione di un mondo con linee temporali diverse dalle nostre. Forse perché era estate e viaggiavamo in macchina senza sapere dove andare. Quello che accadeva era tutta una grande meraviglia, inaspettata. I colori erano proprio i colori dei quadri impressionisti. E lì abbiamo avuto come la sensazione che esista un modo per stare bene, anche nella povertà, di godersi la vita in comunione con la natura, senza stare nella frenesia delle nostre capitali più competitive dove tutto è veloce e ansiogeno.

[LUIGI]: L’estate e la Grecia rappresentano un po’ il simbolo di una vita diversa che non insegue con i canoni del successo e l’obiettivo di arrivare primi ed essere perfetti.

[NICOLE]: Altro punto cardine del romanzo è il rapporto della protagonista con i genitori. Se da un lato il rapporto con la madre risulta essere ricco di contrasti dati dall’intransigenza della donna che sembra non capirla, dall’altro c’è il ricordo del padre avvolto da un alone di malinconia e tenerezza.
In particolare sentiamo che col padre lei abbia un legame più profondo. A questo proposito, numerose volte viene nominato un regalo del genitore, un braccialetto. In che modo esso incide sulla stabilità psichica ed emotiva di Maya? Avete anche voi un oggetto al quale siete particolarmente legati e la cui perdita potrebbe destabilizzarvi?

[ILARIA]: Il padre è l’eterno assente e in quanto tale, visto che scompare quando Maya ha sette anni, non può che essere idealizzato. Poi è una figura contraddittoria. Lei lo immagina come il bene assoluto, così come vede sé stessa. Ma in realtà c’è sia il bene e il male in ognuno di noi, quando si cerca di ottundere in negativo, riemerge con maschere mostruose.

[LUIGI]: Il braccialetto è una specie di amuleto per Maya e infatti le cose si complicano nel momento in cui non se lo trova più al polso. Sono importanti i simboli con cui si conferisce significato al reale. Se ho deciso che un oggetto è magico e lo perdo sarò portato a ricollegare tutti gli eventi negativi della mia esistenza a partire dalla perdita di quell’oggetto.

[ILARIA]: Una volta avevo una pianta di peperoncino…

[LUIGI]: Una volta avevo un anello…

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[PAOLA]: I personaggi narranti in questo libro hanno delle personalità ben caratterizzate e distinte e ognuno è rappresentato da un registro linguistico ben definito. Si passa dal linguaggio sublime e poetico di Maya a quello pragmatico di Edoardo. È proprio questa differenza, questa incompatibilità del mondo dell’arte rappresentato da Maya e del mondo geometrico e matematico rappresentato invece da Edoardo, a causare la frammentazione di Maya? Queste due visioni del mondo sono troppo diverse per poter coesistere secondo voi? E voi in quale vi rispecchiate maggiormente?

[ILARIA]: Maya rivede in Edoardo le regole che ha cercato di darle sua madre (senza successo) e si convince che arrivata a trent’anni e non avendo realizzato quello che voleva (diventare una grande artista) sia necessario rientrare nei ranghi della società civile e vede in Edoardo questa possibilità, di darsi delle regole. Il guaio è che sono regole esterne a cui è sempre tentata di ribellarsi.

[LUIGI]: Al contrario Edoardo è attratto da Maya perché lei è la meraviglia del mondo che gli manca e che forse lo riporta a quando era bambino. Questi mondi sono destinati a scontrarsi finché l’uno cercherà di cambiare l’altro, cercando di sottometterlo. Certamente ci sono altre possibilità di stare insieme senza che l’uno riduca a sé l’altro. Ed è quello che nel corso della storia è proprio la prova di fuoco attraverso cui passeranno. Siamo stati Maya ed Edoardo fin dall’inizio, portando però alle estreme conseguenze le nostre personalità.

[PAOLA]

Il corpo graffiavo, tutto, con la spugna. Fino a metterci le unghie. E lasciarmi segni. E farmi il sangue sulle braccia. E ai capezzoli. E all’ombelico. Questa pancia. Questa pancia. Un corpo estraneo.

Le differenze tra Maya ed Edoardo come abbiamo detto sono tante, e si rivelano anche nella decisione di avere un bambino. Maya infatti rifiuta fin dall’inizio del suo rapporto con il marito l’idea di una gravidanza e anche quando rimane incinta, continua a sentire come estranea la vita che le cresce dentro. A cosa è dovuto questo forte rifiuto della maternità da parte della protagonista?

[ILARIA]: Ci sono molte interpretazioni. Se seguiamo l’interpretazione psicoanalitica accade spesso, in determinati disturbi di personalità, dove il problema è che non c’è un’unità tra i vari frammenti del sé, che al momento della gravidanza la donna possa sentire come estraneo il corpo che le cresce dentro. Poi c’è la vicenda esistenziale, di cui parlavamo prima, per cui Maya si è sforzata di fare una serie di passi definitivi per poter essere come secondo lei una donna deve essere dopo i trent’anni. E quando questo avviene con una forzatura c’è una parte del sé che continua a ribellarsi e a far valere i bisogni più profondi che la protagonista ha voluto obliare.

[NICOLE]:

Infilo ancora il dito nell’ombelico. Tiro fuori un filo. Da un’estremità indice e pollice tirano fuori, l’altra estremità, è ancora immersa nell’ombelico. Tiro e tiro e tiro, il filo è lungo, fino a quando non sento qualcosa pungermi e infilzarmi l’ombelico da dentro. Urlo. Mi piego in due per guardare meglio cosa stia succedendo al mio ombelico. Vedo una punta metallica venire fuori da lì dentro. Tiro poco poco il filo e vedo che quella cosa metallica è collegata al filo. Più tiro il filo più la punta metallica vuole venire fuori, con l’idea di squarciarmi la pancia. Tiro, tiro forte comunque. Dall’ombelico si apre uno strappo e si libera un amo sanguinante. Avvicino l’amo agli occhi per vederlo meglio. È un amo da pescatore. Che cazzo ci fa un amo da pescatore nel mio ombelico?

Inizialmente ci ritroviamo a pensare che Edoardo desideri un bambino al contrario di Maya, ma questo incubo mi ha portata a riflettere e ha insinuato il dubbio. Cosa rappresenta questa sua idea di essere morso da qualcosa che si trova all’interno della sua pancia? È semplice paura o nasconde altro, un rifiuto del ruolo di padre e marito?

[LUIGI]: In realtà in quel momento Edoardo inizia a comprendere Maya, ne sente la sofferenza (a modo suo) inizia a entrare davvero in empatia con lei. Lo ha sempre saputo ma ha fatto finta di niente. E si sa, questi pensieri prima o poi vengono a galla. L’incubo è un momento determinante nella storia, dove Edoardo inizia il percorso da Ulisse che vuole tornare da Penelope.

[PAOLA]

Sono stata in pineta. Mi sentivo sola. Ho guardato le fronde muoversi. Erano mani. Mani verdastre sulle nuvole. Ho chiuso gli occhi. Ho inspirato il vento. Ho pensato che fossi esattamente dove desiderassi essere. Ho pensato di non agire. Di non tornare. Di restare lì. Tra quelle mani. Nel dominio del vento. Senza decidere. Senza scegliere. Senza rischiare di avere un ruolo. Una responsabilità.
Ho riaperto gli occhi. I colori del cielo erano mutati. Allora mi sono detta: lo vedi, Anya? Se non scegli tu sarà l’esistenza a farlo per te. Il cielo sfumava, si faceva rosso, viola e blu notte, sempre più simile al buio. Alcuni aghi si sono staccati dai pini. Sono volati via. Mi hanno colpita. Le fronde erano scure e non potevo distinguerne i tratti. Come un pugno in faccia, tutto, mi ha colpita. Ho sentito l’inesistenza. Ho scelto di tornare a casa. In questa casa. Ho scelto di esistere: dispiegare la mia volontà contro tutto quanto desiderasse colpirmi. Sono qui, Maya. Esisto. Più di quanto tu riesca a immaginare.

Anya è forse il personaggio più enigmatico della storia. Dalla lettura della prima pagina sembra essere una criminale dal momento che ha rapito il bambino di Maya. Nel corso invece della lettura si scopriranno invece delle verità diverse sul conto di questo personaggio. Cosa potete dirci su Anya?

[ILARIA]: Anya è l’ago della bilancia, rappresenta l’Es dal punto di vista psicanalitico. La pulsione a vivere tutto quello che le passa per la testa per il semplice piacere di farlo e a spese del prossimo. Per lei Maya sta rinunciando a sé stessa con questo bambino. Nessuno, neanche i criminali, agiscono pensando di fare del male. Ciascuno agisce pensando alla sua personale idea di giustizia.

[LUIGI]: Certo, quando questa personale idea di giustizia si scontra radicalmente con il senso comune si compiono atti talvolta orrendi. Sia Maya che Anya vivono uno squilibrio, l’una pensando di non poter realizzare nulla di quel che desidera, l’altra pensando di poter fare tutto.

[NICOLE]: Giungendo alle ultime pagine del romanzo, il quadro della vita dei due protagonisti sembra ancora incompleto, aprendo alla possibilità di un’ultima pennellata. L’inverno fatto di rassegnazione nel quale si trovano i personaggi avrà mai fine? Riuscite a vedere per loro una nuova Estate?

[LUIGI]: L’idea è che a partire dal finale ci siano le basi per una ricomposizione dei frammenti. La tragedia dopo essersi compiuta lascia le tracce per un percorso nuovo, un nuovo punto di partenza.

[ILARIA]: Vivere con gli altri in generale non è una cosa facile così come non è facile vivere con sé stessi, considerando quante alterità ci abitano, bisogna trovare l’equilibrio e la mediazione tra i desideri dell’io e le strutture del mondo.

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Fahrenheit 451-Ray Bradbury

 

“Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, con quel grosso pitone che sputava il suo cherosene venefico sul mondo, il sangue gli martellava contro le tempie, e le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d’orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per far cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia.”

 


Così si apre uno dei romanzi che più mi hanno colpita nell’ultimo anno.

Fahrenheit 451 non è solo il racconto apocalittico di ciò che potrebbe accadere in un futuro governato dal consumismo, dalla tecnologia e soprattutto dall’omologazione bensì un monito, una narrazione che ti fa riflettere e che ti fa venir voglia di leggere tutti i libri a disposizione prima che sia troppo tardi. La storia è quella di Guy Montag, un pompiere che nel mondo al contrario di Bradbury invece che domare le fiamme, appicca incendi nei quali vengono distrutti per sempre libri. Tutti i libri, da Shakespeare a Melville a Whitman come se fossero spazzatura di poco conto. Secoli di ricerca, di analisi della realtà, a volte di critica, di poesia, di rabbia spazzati via per sempre.

“La durata degli studi si fa sempre più breve, la disciplina si allenta, filosofia, storia, filologia abbandonate, lingua e ortografia sempre più neglette, fino ad essere quasi del tutto ignorate. La vita diviene una cosa immediata, diretta, il posto è quello che conta, in ufficio o in fabbrica, il piacere si annida ovunque, dopo le ore lavorative. Perché imparare altra cosa che non sia premere bottoni, girar manopole, abbassar leve, applicare dadi e viti?”

Questa è la società che scopriamo pagina dopo pagina. Assopita, spenta, soggiogata dalla televisione, unico mezzo di comunicazione, talmente soffocante con la sua presenza, da essere in ogni casa, su ogni muro, bombardando di notizie e pubblicità gli abitanti di quello che sembra essere un “1984” portato all’estremo.

Se in Orwell il controllo di tutti è incessante attraverso l’occhio del Grande Fratello, con Bradbury la negazione della conoscenza stessa sarà la punizione definitiva. Montag sembra accettare tutto questo inizialmente, nonostante sia stanco della sua vita fatta di routine, slogan e abnegazione.

La svolta l’avrà con l’incontro di una ragazza, Clarisse, che lo desterà dal sonno di rassegnazione e apatia nel quale pareva piombato, incentivato anche da Mildred, una moglie perfettamente inserita nel sistema di rinunce e ignoranza.

“Questa notte ho pensato a tutto il cherosene di cui mi sono servito da dieci anni a questa parte. E ho pensato ai libri. E per la prima volta mi sono accorto che dietro ogni libro c’è un uomo. Un uomo che ha dovuto pensarli. Un uomo a cui è occorso molto tempo per scriverli, per buttar giù tante parole sulla carta. Ed è un pensiero che non avevo mai avuto, prima di questa notte.”

E così Guy deciderà di sfidare il sistema, di salvare i libri dal macero, dalla dimenticanza, dall’oblio.

Guy, un uomo come tanti, un uomo che ha compreso quanto sia importante la conoscenza, proteggere la memoria e la letteratura, si opporrà all’annichilimento delle genti, alla mediocrità alla quale tutti venivano condannati, creando una speranza per il futuro.

Lettura necessaria e sconvolgente, che pone un interrogativo: cosa diverrebbe la società in cui viviamo se si imponesse una dittatura che ci obblighi a non sapere, a non informarci, più semplicemente a non pensare? E noi avremmo il coraggio di Montag o ci comporteremmo come Mildred?

“Nessuno più ascolta. Io non posso parlare alle pareti, perché sono le pareti che urlano verso di me. Non posso parlare con mia moglie, perché sta sentendo quello che dicono le pareti. Io semplicemente ho bisogno di qualcuno che stia a sentire quello che ho da dire. E forse, se mi si desse agio di parlare un po’, potrei anche dire qualcosa di sensato. Ecco perché vorrei che voi m’insegnaste a capire quello che leggo.”

Scheda libro

Autore: Ray Bradbury
Editore: Mondadori
Costo: 12  euro
Pagine: 180

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“If I should die” di Amy Plum

Anno nuovo, vita nuova! Ma non per chi, ‘malato’ di lettura come me, decide di passare la fine dell’anno a ‘farsi fuori’ un’intera trilogia! Perché è esattamente quello che ho fatto io: ho letto, tutta d’un fiato, la “Saga Ravenant” di Amy Plum.

Nello specifico oggi vi parlerò dell’ultimo volume della saga, If I should die che è uscito recentemente (15 novembre 2016). Ma prima facciamo un veloce riepilogo di quello che succede nei primi due volumi.

In Die for me, primo capitolo della saga, facciamo la conoscenza di Kate, giovane ragazza inglese che, dopo la tragica morte dei suoi genitori in un incidente d’auto, si trasferisce a Parigi dai nonni con la sorella. Qui, grazie ad una serie di strani eventi, conosce Vincent, uno splendido ragazzo che però nasconde un grande segreto sulla sua natura. Perché Vincent e tutti i suoi amici non sono umani ma sono degli immortali conosciuti come revenant. I revenant sono esseri che hanno conseguito l’immortalità a seguito di una morte avvenuta come sacrificio al posto di un’altra persona. Ed è questo il loro destino: sacrificarsi per salvare vite umane. Tra Vincent e Kate nascerà una struggente storia d’amore che però metterà la fragile ragazza umana in serio pericolo a causa della sua vicinanza con i revenant che la renderà il bersaglio preferito dei numa, i secolari nemici dei revenant, nati nella stessa maniera ma con lo scopo di uccidere umani.

Nel secondo libro, Until I die, dopo aver sconfitto il capo dei numa, Lucien, la situazione a Parigi è complessa: i numa sono spariti ma i revenant sono sicuri che stiano tramando qualcosa nell’ombra. Inoltre arrivano nuovi revenant alla Maison e gli equilibri diventano precari. Nel frattempo, però, Vincent e Kate cercano di coltivare la loro storia d’amore lasciando fuori, il più possibile, le problematiche dei revenant e il fatto che Vincent potrebbe essere il Campione ovvero il revenant che possiederà straordinari poteri e che permetterà di sconfiggere i numa in un’atroce guerra. Ed è proprio a causa di questa profezia che i revenant verranno traditi da uno di loro che ucciderà e rapirà Vincent per cercare di carpire il suo potere.

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I primi due volumi della saga

Quindi If I should die si apre con i revenant alla disperata ricerca di Vincent e con l’atroce scoperta che il suo corpo è stato bruciato mentre la sua anima è stata vincolata al revenant traditore. Kate e alcuni revenant iniziano a ricercare un modo in cui poter riportare Vincent in vita ed avverare la profezia del Campione.  Ma la ricerca non si rivelerà facile. Inoltre molte scoperte terranno il lettore con il fiato sospeso: sarà davvero Vincent il Campione predestinato a sconfiggere i numa? E che ne sarà della dolcissima storia d’amore tra lui e Kate? Tra incantesimi, colpi di scena, amori, tradimenti, combattimenti e sotterfugi, il lettore verrà condotto all’epilogo di questa splendida trilogia.

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Ovviamente non posso svelarvi altro, anzi non posso in generale svelarvi molto perché, se non avete mai letto questa trilogia, dovete assolutamente recuperarla. Amy Plum unisce un linguaggio semplice ad una narrazione scorrevole e serrata che ti fa girare le pagine e leggere cosa accadrà in seguito con un senso di trepidazione ed attesa che pochi autori contemporanei sanno dare. I personaggi sono ben delineati sullo sfondo di una Parigi che mescola la sua innata bellezza e storia ad un pizzico di magia il tutto condito dalla giusta dose di romanticismo e azione.

La trilogia può essere benissimo inserita nella categoria degli young adult e so che alcuni di voi non sono propriamente amanti del genere. Ma fidatevi che questa volta non verrete delusi. Assolutamente consigliata!


SCHEDA DEL LIBRO:

Autore: Amy Plum
Pagine: 494
Editore: De Agostini
Prezzo: €14,90

5

Pastorale Americana-Philip Roth

Quando ti trovi a dover parlare di un libro che ti ha colpita, stordita, rapita e lasciata senza parole, non sai bene da dove cominciare. Partire raccontando la trama sembra troppo scontato, esprimere senza filtri le proprie impressioni sembra eccessivo e inadeguato, e allora fissi il foglio bianco come in trance sperando che le parole vengano fuori da sole, coerenti e precise pronte ad esprimere al meglio ciò che si è provato durante la lettura.
Pastorale Americana è questo. Premio Pulitzer nel ’97, opera mastodontica, divisa in tre parti, il Paradiso Ricordato, la Caduta e il Paradiso Perduto che richiama nell’analisi della caduta di un uomo, di un sogno, di un’idea il Paradiso di miltoniana memoria; opera cruda e amara come lo è la vita in ogni sua sfaccettatura.

La storia raccontata dall’ormai noto alter ego di Roth, lo scrittore Zuckerman, è quella di Seymour Levov, “lo Svedese”, ebreo emblema del sogno americano, atleta promettente poi uomo d’affari realizzato, a capo dell’azienda di guanti di famiglia, sembra avere tutto dalla vita.

“Ma lo spirito o l’ironia, per un ragazzo come lo Svedese, sono solo intoppi al suo passo spedito: l’ironia è una consolazione della quale non hai proprio bisogno quando tutti ti considerano un dio. C’era tutto un lato della sua personalità che lo Svedese nascondeva, o questa cosa era ancora un embrione o, più verosimilmente, mancava. Il suo distacco, la sua apparente passività come oggetto di desiderio di tutto questo amore asessuato, lo facevano apparire, se non divino, di molte spanne al di sopra della primordiale umanità di quasi tutti gli altri frequentatori della scuola.”

Con il matrimonio poi fra lui e Dawn, Miss New Jersey, donna bellissima, cattolica e grande lavoratrice, e la successiva nascita della figlia Merry, l’apice della realizzazione personale sembra raggiunto. Eppure la perfezione e la felicità sono utopie, miraggi non destinati a concretizzarsi e presto anche i Levov lo capiranno nel peggiore dei modi.

La famiglia si sfalderà con estrema rapidità e il punto di rottura sarà lo scoppio della guerra in Vietnam. Le immagini del conflitto avranno un effetto devastante sulla mente della giovane Meredith, ragazzina adolescente, balbuziente, intelligente, che nonostante l’affetto della famiglia che cerca in tutti i modi di aiutarla e sostenerla, svilupperà un atteggiamento estremamente conflittuale nei confronti dei genitori.

Contraria alla guerra, considera le idee democratiche e anti fasciste della sua famiglia non sufficienti e decide di portare letteralmente la guerra in casa.

Andare a New York e organizzarsi con altri studenti per manifestare la sua insofferenza, le sembra il giusto modo di esprimere le sue idee anti capitaliste.

“Oh, lo so che non ti senti responsabile della guerra: p-per questo devo andare a New York. P-p-pepperchè là la gente si sente responsabile. Si sente responsabile quando l’America fa sa-saltare in aria i villaggi vietnamiti. Si sente responsabile quando l’America fa a pezzi i b-bambini p-p-pipipiccoli. Tu no, invece, e la mamma nemmeno. Non te ne importa abbastanza da lasciarti turbare un solo giorno della tua esistenza. A te non importa abbastanza per farti p-passare un’altra notte in qualche posto. Tu non stai sveglio la notte a p-pensarci su. In un modo o nell’altro, papà, te ne importa po-po-poco.”

Ma è nella sua Old Rimock che avverrà il peggio, l’atto che segnerà la disgregazione dell’aura di perfezione che avvolge lo Svedese e la sua borghese famiglia, l’atto terroristico all’ufficio postale concepito e messo in pratica da Merry come gesto estremo contro la guerra, i pregiudizi razziali, l’imperialismo, e il “sistema America” in generale.
Questa bomba esploderà con forza incontenibile, verrà distrutto Seymour in toto, portandolo alla piena disperazione. Non saprà darsi pace, cercherà sempre e solo di trovare una spiegazione al gesto della figlia: come può una ragazzina dal futuro brillantemente programmato, agire così? Rovinare tutto per un ideale malato, distorto?

“La verità era quella che aveva sempre saputo: anche senza l’aiuto di un tentatore, tutto ciò che di rabbioso Merry aveva dentro era venuto a galla. Era un essere senza paura, che non si lasciava intimidire, questa bambina che per la sua maestra aveva scritto non, come gli altri scolari, che la vita era un bel dono, una grande occasione, un nobile tentativo e una grazia di Dio, ma che era solo un breve periodo di tempo in cui eri vivo. Sì, la responsabilità era tutta sua. Doveva essere così. Il suo antagonismo non aveva esitato davanti all’omicidio. Altrimenti la conseguenza non sarebbe stata questa pazzesca tranquillità.”

In questo dramma familiare, per quanto portato all’esasperazione, esagerato, stirato, ci si può riconoscere tutti.

Il dramma della presa di coscienza che l’idilliaca vita perfetta, fatta dal duro lavoro, dalla costituzione di una famiglia felice e compatta, si incrina al minimo problema, al più piccolo e apparentemente lontano elemento di fastidio, rompendo il quadro dipinto in anni di fatica con la facilità con cui si rompe un bicchiere di cristallo.

Le continue domande, le turbe interiori di Levov troveranno una riposta nelle parole del fratello medico Jerry, che a mio avviso, esprimono al meglio il significato del romanzo: come il sogno di realizzazione, di autodeterminazione e la conseguente soddisfazione siano solo un velo di menzogne; attirano e convincono fino a quando la superficialità che le nutre non inizia a corrodere a fondo, nell’anima, nella coscienza, finché dell’essere umano che ne era permeato non resta che un cumulo di macerie.

“Volevi Miss America? Beh, l’hai avuta, altroché: è tua figlia! Volevi essere un vero campione americano, un vero marine americano, un vero magnate americano con una bella pupattola cristiana appesa al braccio? Volevi appartenere come tutti gli altri agli Stati Uniti d’America? Beh, ora gli appartieni, ragazzone, grazie a tua figlia. Ce l’hai in culo, adesso, la realtà di questo paese. Con l’aiuto di tua figlia sei nella merda fin dove è possibile sprofondarci, vera merda, fantastica merda Americana. L’America pazza furiosa! In preda a furore omicida! (…) Se tu fossi un padre che ama sua figlia non l’avresti mai lasciata in quella stanza! Non l’avresti mai persa di vista!”

L’America di Roth è questo, all’apparenza dorata ma profondamente marcia.
Se amate i libri che non vi fanno andare a dormire leggeri, ma che vi lasciano un peso sullo stomaco, quei libri che non vedi l’ora di leggere ma che allo stesso tempo non vuoi finire perché senti che fanno già troppo parte di te, Pastorale fa per voi.

“Sì, siamo soli, profondamente soli, e in serbo per noi, sempre, c’è uno strato di solitudine ancora più profondo. No, la solitudine non dovrebbe stupirci, per sorprendente che possa essere farne l’esperienza. Puoi cercare di tirar fuori tutto quello che hai dentro, ma allora non sarai altro che questo: vuoto e solo anziché pieno e solo.”

Sperando che prima o poi questo fenomenale autore vinca il Nobel, vi lascio al trailer del film che uscirà a breve nelle sale.

https://youtu.be/SAAqiO_Z9Vs

Scheda libro

Casa editrice: Einaudi
Numero pagine: 458
Prezzo: 14 euro

2

Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut

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Quando ho incominciato a leggere questo libro mi sono chiesta cosa potessero avere a che fare tra loro la fantascienza e una storia di guerra. Cosa ci potesse essere di più diverso.

Kurt Vonnegut ha trovato il giusto equilibrio, la giusta mescolanza di fantasia e realtà, che riuscisse a spiegare in maniera realistica, ma anche critica, cos’è la guerra, quali sono i suoi orrori, specie perché coloro che la combattono al posto dei “grandi”, altri non sono che “bambini”.

Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini non è un libro da leggere alla leggera: è intenso, carico di humor nero; è di fantascienza, ma descrive anche la realtà con estrema crudezza. È la proiezione che una mente geniale è riuscita a produrre, di un disastro.

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Immagine di Dresda dopo il bombardamento avvenuto durante la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945

Il focus è sul bombardamento di Dresda, avvenuto durante la seconda guerra mondiale, ma le vicende di Billy Pilgrim, il protagonista, vi girano attorno come se volessero sviare il lettore, ma al tempo stesso accompagnarlo verso la più terribile realtà. La narrazione della sua vita è discontinua, frammentaria, l’ordine cronologico va a perdersi di fronte al meraviglioso e orribile “potere” di Billy di poter saltare da un momento all’altro della sua vita senza avere controllo di essa. Un potere alieno, che Billy subisce nella consapevolezza che la morte non sia qualcosa di definitivo, che tutto sia già scritto, destinato e irrimediabile.

Billy guarda la sua vita passargli davanti in maniera passiva, una vita vissuta in funzione di una giovinezza di orrori, di una innocenza rubata da uno dei più terribili avvenimenti possibili.

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Kurt Vonnegut durante il servizio militare, nei primi anni quaranta

Kurt Vonnegut ha vissuto la guerra sulla sua pelle, è scampato alla morte sotto il cielo di Dresda per pura fortuna. Si ripromette di raccontare la sua storia, ma è difficile trovare il modo giusto per rendere ciò che ha vissuto. È così che scrive della sua esperienza della guerra e del bombardamento di Dresda come meglio può, attraverso simboli e proiezioni, tra cui spicca la figura dello scrittore squattrinato Kilgore Trout: le sue opere, la cui trama è esplicata in poche righe, sono vere e proprie critiche al mondo, che mettono in discussione non solo la società umana, ma anche la religione, le ideologie, la guerra.

Le vicende di Billy, ciò che pensa, le sue reazioni alle mostruosità della guerra, le sue convinzioni a cui il lettore resta in dubbio se credere o no: si riassumono tutte alla luce della concezione che ha della vita, vista come effimera, come qualcosa di estremamente fragile.

Billy sembra costruirsi da sé il mezzo per sopravvivere allo scempio materiale ed emotivo che lo circonda, e tramite racconti di rapimenti alieni, viaggi nel tempo e mondi paralleli, lancia un messaggio, crea una metafora attraverso cui esplicare il suo silenzioso urlo di aiuto, attraverso cui fuggire all’orrore di ciò che ha vissuto.

Alla fine, poco importa se le vicende fantascientifiche e strambe che Billy racconta siano accadute realmente o no: cosa c’è di più assurdo della guerra in sé, dove migliaia di persone muoiono per un sì o per un no, dove “bambini” agghindati da soldati si ammazzano tra loro per conto di altri?

“Così va la vita” è ciò che Billy si ripete, che pensa con abitudine quasi ossessiva, per giustificare qualsiasi morte, qualsiasi orrore che lo circonda. Come se le cose, semplicemente gli capitassero: tratto imparato, secondo lui, dagli alieni tralfamadoriani, che sanno bene come terminerà l’universo e lo accettano. Così lui accetta tutto ciò che gli accade, consolandosi con la convinzione che ogni momento esisterà sempre anche dopo che è trascorso, in un altro luogo. Nulla muore mai veramente.

Sembra quasi voler dire che l’unico modo di sopravvivere a un evento così cruento e spietato come il bombardamento di Dresda sia, appunto, accettare che queste cose succedono. Come se la colpa non fosse di nessuno. La capacità e la consapevolezza di poter agire e influenzare la direzione della propria vita è persa, perché farebbe troppo male pensare che ciò che accade è da attribuire anche alle proprie decisioni. Fa troppo male pensare che qualcuno abbia voluto davvero tutto questo.

Si può reagire solo così, all’orrore.

Mattatoio n. 5, un titolo emblematico che tramite il nome di un luogo in cui la morte regna sovrana e l’accostamento di un numero casuale, vuole esplicare ancora una volta quanto la vita non dipenda da noi, quanto il caso non guardi in faccia a nessuno. Che sia il 5 o il 6, sembra poca la differenza. Ma la differenza, in realtà, è quella tra la vita e la morte.

Scheda del libro

Titolo: Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini
Autore:
 Kurt Vonnegut
Pagine: 196
Editore: Feltrinelli
Prezzo: 9,00 €