Ma chi è il signore delle mosche?
Il signore delle mosche deriva da “Baal Zebub” (o Beelzebub), il falso dio della fertilità di Ekron e credetemi, sarà stimolante quando vi chiederete in più occasioni chi sia e in particolare quando lo scoprirete o penserete di averlo fatto.
Mi accingo quindi a recensire uno di quei libri che, almeno una volta nella vita, va assolutamente letto. Una lettura che aggiungerà qualcosa di indispensabile. Un libro fantastico, pieno di metafore, di simbolismo. La storia è sì, avventurosa, interessante, appassionante, ma è solo grazie al suo significato intrinseco che questo libro diventa un capolavoro.
Mentre leggevo ho pensato svariate volte a questa situazione: all’uomo di migliaia di anni fa, all’uomo che è passato da uno stato brado ad un piccolo livello superiore, ovvero al momento in cui ha sentito il primissimo istinto di darsi delle leggi, di eleggere il più forte come leader. Questi bambini/ragazzi che naufragano su quest’isola, non sanno niente o quasi delle leggi dei “grandi” e del loro mondo. Sono come quegli uomini che per la prima volta scoprono il bisogno di autoregolarsi. Con l’unica differenza che conservano un barlume della società che fino a quel momento li ha protetti. Cosa succede poi quando ci si ritrova senza la sicurezza di questa società? Se ne crea una nuova, instabile e precaria. E come avviene il passaggio dall’innocenza al primo assaggio del “potere”?
Il tragitto verso il compimento di questa storia è interessantissimo. Al suo percorso se ne mischia uno sociologico, sorprendente.
La prima tappa è il bisogno di un leader e subito dopo il bisogno di leggi. Il primo vero cambiamento poi, o comunque il primo passo verso di esso, avviene quando ci si inizia a chiedere: “ma qui le leggi della società valgono?” ed inizia a venir meno la sicurezza di ciò che valeva nella vita passata. Se lancio una pietra e colpisco qualcuno, chi mi sgriderà?
“Roger raccolse una manata di pietre e cominciò a gettarle. Eppure c’era uno spazio intorno a Henry, forse cinque metri di diametro, dove egli non osava colpire: lì, invisibile ma forte, c’era il tabù della vecchia vita. Intorno al bambino accovacciato c’era la protezione dei genitori e della scuola, dei poliziotti e della legge. Il braccio di Roger era condizionato da una civiltà che non sapeva nulla di lui ed era in rovina.”
Poi, inevitabile arriva l’imporsi della volontà del più forte sui più deboli. E ancora più sconvolgente è l’emozione inebriante che traspare dalle sensazioni di quelli che erano (si può dire) bambini.
“I ricordi si affollavano alla sua mente, ricordi di ciò che i cacciatori avevano provato quando si erano stretti sul maiale che si dibatteva, come si erano resi conto di esser stati più furbi della bestia, di averle imposto la loro volontà, di averle tolto la vita, bevendogliela quasi, a sorsate inebrianti.
Egli spalancò le braccia.
«Avresti dovuto vedere il sangue!»”
A seguire un vortice verso “il selvaggio”, riti, facce dipinte, idolatria.
“Prima che la festa incominciasse, un gran tronco era stato trascinato nel mezzo del prato, e lui, tutto dipinto e inghirlandato, vi sedeva sopra come un idolo. C’erano mucchi di carne su foglie verdi accanto a lui, e frutta, e noci di cocco piene d’acqua.”
E poi allucinazioni di potenza, tribù, rituali, deliri collettivi e via dicendo fino all’arrivo alla società demente.
“Cominciò un movimento in tondo, e insieme cominciò la cantilena. […] sotto la minaccia del cielo, provarono anch’essi una gran voglia di far parte di quella società demente ma in qualche modo sicura, e furono lieti di toccare le schiene brune di quella siepe che si stringeva intorno al terrore e lo governava a suo modo.”
…e poi al crollo totale contro ogni barlume di lucidità. Il crollo dei pilastri della cultura: la morale, la religione, il buon senso, l’educazione.
Questa storia fa inevitabilmente riflettere anche sui totalitarismi, sul controllo delle masse, sulla democrazia come disegno utopico. Con una trama semplice e lineare esplora i più intimi meandri della natura umana, e scoprire determinate cose è insieme sconcertante e straordinario.
La fine dell’innocenza la si ha quando si assapora il potere e non si è in grado di portarne il peso, di capirlo; quando si entra nel gioco delle leggi, delle regole, per sopravvivere al caos e si finisce per farsi sovrastare da qualcosa di più grande.
Questo libro, se penso a tutto ciò che c’è dietro, a tutto ciò che ancora può essere letto tra le sue pagine, mi mette i brividi. Un piccolo capolavoro, una storia fatta di simboli sotto la patina del libro di avventura.
Se lo consiglio? Assolutamente sì! Non fermatevi alla prima scrematura del romanzo ed emozionatevi a scoprirne ogni sfumatura, ogni significato, a svelare la sua natura più intima. Vi arricchirà.