È molto difficile decidere da dove iniziare quando si sta per parlare di un romanzo del genere. Un libro che, a mio parere, rasenta e forse raggiunge pienamente la perfezione stilistica. Un libro che sfiora vette vertiginose delle questioni umane, della vita, di ciò che sono le paure e i dubbi più reconditi dell’ essere umano. “Zero k” è considerato da molti come una sorta di testamento dell’autore, come prodotto ultimo e perfezionato di ciò che è stato il suo percorso e non fatico assolutamente a capire il perché di questa definizione.
Ma veniamo alla trama.
Il narratore è Jeffrey Lockhart, figlio di Ross Lockhart, magnate della finanza. Il romanzo si apre con Ross che convoca Jeffrey per un motivo ben preciso: vuole che lo accompagni nel deserto del Kazakistan, in un’ azienda futurista di nome Convergence. Attraverso le più avanzate tecnologie informatiche, questa azienda si pone il fine di conservare corpi e coscienze grazie ad un processo di criogenesi, affinché la morte sia solo un passaggio verso la rinascita. Artis, seconda moglie di Ross, è malata di sclerosi multipla ed è proprio lei che verrà sottoposta al processo al quale Ross vuole soprassedere insieme al figlio, affinché un giorno possa essere risvegliata e curata. Così Jeffrey parte per raggiungere la matrigna e il padre, con il quale da anni ormai il rapporto si è deteriorato. In questo romanzo è molto labile il rapporto tra fede nella scienza e religione. Un continuo e sottile confine che pervade tutto il libro. Lo si potrebbe chiamare “culto per il progresso” . Tutti coloro che sono ospiti a Convergence e che intendono sottoporsi all’ibernazione criogenica, infatti, credono fermamente nella vita dopo la morte, intesa non come vita ultraterrena, ma come superamento del limite ultimo dell’umano.
“Tecnologia basata sulla fede. Ecco cos’è. Un altro dio.
Non tanto diverso, alla fine, da alcune nostre divinità del passato. Solo che è un dio reale, questo, è vero, mantiene le promesse. “
La stessa Convergence viene spesso descritta come una specie di “santuario”e ricorda vagamente una tomba, un luogo dove “si ritorna alla terra e si riemerge da essa”.
A volte viene addirittura accostata all’immagine delirante di una specie di setta che opera “procedure precisissime guidate da un delirio collettivo, dalla superstizione, dall’arroganza e dall’autoinganno.” L’ambientazione di questo romanzo è assolutamente asettica, proprio come il linguaggio. I flussi di pensieri dei personaggi, la dimensione onirica creata dall’intreccio della parola, sono suggestivi e talvolta perturbanti. Tutto il libro è pervaso da uno stato di attesa che induce il lettore non solo all’analisi profonda di ciò che viene descritto, ma anche ad una sorta di autoanalisi, un’autorivelazione di sé stessi e di ciò che sono le nostre opinioni rispetto a tematiche tanto importanti quanto lontane dal pensiero quotidiano. Una cosa che ho profondamente amato di “Zero K” è stata l’impossibilità di prendere una posizione, di dirsi sicuri sulla propria opinione e sulla direzione del proprio pensiero. Tutto ciò che Delillo ha partorito è scritto esattamente con questo intento: la riflessione puntellata di domande e dubbi.
Trovo solo pregi in “Zero K”. Idee affascinanti ovunque.
Come per esempio l’idea della pienezza della vita e delle percezioni come meta post mortem, una “nuova vita” intesa come uno spogliarsi di ciò che ci identifica all’interno del nostro tempo, come de contestualizzazione dell’io, abbandono della propria storia e delle strutture mentali che essa e la società hanno plasmato. Ma non solo, questa “cyber-resurrezione”supporta una specie di religione della sventura, nella quale si crede fermamente che il mondo presto cadrà a pezzi e che questa catastrofe sia già in atto. “La catastrofe è la nostra favola della buonanotte” recita un passo importante del libro. In sostanza io consiglio “Zero K” senza ombra di dubbio, perché è una di quelle letture – impegnative sicuramente – che appagano e danno immense soddisfazioni. Ma non è comunque una lettura per tutti e per ogni momento. Dovrete essere pronti a qualcosa che non si lascia avvicinare con semplicità. Delillo è uno scrittore analitico ed evocativo, capace di toccare corde delicate, di sfiorare i labili confini tra vita e morte, tra realtà e percezione, con una scrittura asettica e rarefatta. Un dio della parola che si insinua, ma soprattutto uno scrittore che celebra le immagini e parla attraverso di esse.
Allora vi dico, leggete con la giusta propensione e saprete apprezzare, arricchendovi.
Autore: Don Delillo
Editore: Einaudi
Pagine: 240
Prezzo: 19€
(In collaborazione con Thrillernord.it)