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Agenzia A – Matsumoto Seicho

Agenzia A di Matsumoto Seicho è un giallo ambientato alla fine degli anni ’50 in Giappone. Teiko ha ventisei anni, è in là ormai con gli anni per la società giapponese dell’epoca, decide quindi di sposarsi con un matrimonio combinato. Il suo sposo, Uhara Ken’ichi, ha dieci anni più di lei e lavora per una prestigiosa azienda pubblicitaria: l’Agenzia A.

Ken’ichi ha trascorso gli ultimi anni della sua vita tra Tokyo e Kanazawa: da scapolo viveva venti giorni al mese a Kanazawa e il restante tempo a Tokyo, alternandosi nelle due città per lavoro. Una volta sposato intende accettare una promozione che lo porterà a lasciare per sempre la città in mezzo alla neve, per stabilirsi nella metropoli. Ken’ichi e Teiko si sposano, Ken’ichi sembra amare davvero la donna, trova che sia molto bella, vuole vivere con lei. Teiko però percepisce nelle sue parole un alone di mistero: le sembra che tra le righe si percepisca la presenza di un’altra donna. Ma tutti quelli che conoscono Uhara Ken’ichi sostengono che lui sia integerrimo e non abbia mai avuto relazioni prima del matrimonio.

La cosa stupisce Teiko: è strano per lei che un uomo che si sta avvicinando ai quarant’anni non abbia mai avuto qualche altra donna in passato. Teiko accetta di buon grado quello che le viene detto e aspetta fiduciosa che la loro vita coniugale cominci e si stabilizzi. Infatti, poco dopo il viaggio di nozze, Ken’ichi viene mandato a Kanazawa per l’ultima volta, per salutare i clienti e passare l’incarico nella città al suo collega, Honda.

Passano i giorni e, quando arriva la data del ritorno dell’uomo, di lui non si ha traccia. Teiko viene contattata dall’ufficio del marito: che fine ha fatto Uhara? Il fratello Sotaro e la cognata non sembrano particolarmente preoccupati. Sicuramente Ken’Ichi salterà fuori prima o poi, magari è andato a trovare un amico o qualche conoscente. Teiko, non conoscendo il marito, non sa cosa aspettarsi, ma decide di partire per Kanazawa e andarlo a cercare. Qui viene aiutata da Honda e, dopo aver denunciato la scomparsa di Ken’ichi, inizia ad indagare sulla sua scomparsa.

Ad aumentare il mistero sulla sua sparizione ci sono due foto, che rappresentano due case estremamente diverse l’una dall’altra: una ha un aspetto a metà tra una casa giapponese e una casa all’occidentale, l’altra invece rappresenta senza dubbio una casa povera di campagna. Le due foto sono custodite in un libro di giurisprudenza in inglese, di cui Teiko non sa nulla, ma la cui visione rimane impressa nella sua mente.

La cosa viene acuita quando, a Kanazawa, Teiko e Honda si recano alla fabbrica Murota spa, un’azienda con cui Ken’ichi aveva collaborato proficuamente; il signor Murota, il proprietario, e la moglie Sachiko conoscevano l’uomo e ne erano diventati amici. Teiko entrando nella loro casa riconosce la sagoma vista nella fotografia nascosta dal marito: la casa con parti occidentali e giapponesi mescolate.

Le indagini vanno avanti e vengono ulteriormente intrecciate quando compare sulla scena Sotaro, il fratello di Ken’ichi, che però nasconde qualcosa. L’uomo infatti ha raccontato alla moglie, la cognata di Teiko, di dover fare un viaggio a Kyoto e di passare quindi sulla strada del ritorno per Kanazawa, così da poter aiutare Teiko nella ricerca del fratello. Ma Sotaro sembra essere presente nella cittadina da ben prima e si comporta in maniera strana. Le stranezze culminano quando l’uomo viene ritrovato morto avvelenato da un whisky in un ryokan non lontano da Kanazawa. Le tracce sul suo delitto portano ad una donna vestita con abiti molto sgargianti, sui toni del rosso, una donna che ricorda all’opinione pubblica le pan pan, le giovani donne giapponesi che subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e l’occupazione del Giappone, avevano intrattenuto rapporti con i soldati americani.

Dov’è Ken’ichi? Chi ha ucciso Sotaro? Cosa nascondeva alla cognata? Chi era davvero Ken’ichi?

A queste e a tante altre domande Teiko dovrà rispondere nel corso delle indagini portate avanti, indagini ben avviluppate e intrecciate attorno a un segreto molto pericoloso.

Matsumoto Seicho in Agenzia A ha costruito un giallo al cardiopalma, in cui attraverso il punto di vista di Teiko ci racconta la scomparsa di un uomo e la sua risoluzione, andando a toccare tematiche molto importanti per il dopoguerra giapponese. La figura delle pan pan viene qui ben raccontata e descritta: ragazze spesso molto intelligenti, laureate, che venivano costrette dalla sorte, dopo la sconfitta in guerra del Giappone, a prostituirsi e intrattenersi con gli americani. Vestivano con colori accesi, rossi, blu, gialli, per distinguersi dalle brave ragazze giapponesi che indossavano tessuti dalle tonalità scure e dagli elementi poco appariscenti. Una volta che riuscivano a staccarsi da questo mestiere riuscivano anche a rifarsi una vita, spesso, dimenticando il passato.

La figura delle pan pan è ancora poco conosciuta e Matsumoto Seicho nel suo romanzo ha sicuramente seminato informazioni per approfondirla e conoscerla meglio. In Agenzia A c’è un bel contesto storico e ambientale, con la presenza preponderante delle linee ferroviarie e la nomina di diverse cittadine giapponesi, che fanno da paesaggio al mistero da risolvere, rendendo la narrazione molto più ricca e vivida.

SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Mondadori
Pagine: 370
Prezzo: 15.00€
Voto: 8/10

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La vita felice del ciarliero Zhang Damin – Liu Heng

La vita felice del ciarliero Zhang Damin è un romanzo tragicomico dell’autore cinese Liu Heng. Zhang Damin vive in una casa che è una costruzione dalla struttura contorta e dall’aspetto di un hamburger caduto per terra. Assieme lui vivono la madre, rimasta vedova dopo che il marito è morto per un’ustione da acqua bollente, due sorelle più piccole, Ermin e Simin, e due fratelli, Sanmin e Wumin. Accanto alla casa sorge un albero di melograno.

Zhang Damin lavora come operaio in una fabbrica e conosce Li Yufang, che lavora in una fabbrica di asciugamani. Zhang ama la ragazza, ma questa è innamorata di un altro uomo che, in quattro e quattr’otto la abbandona per andare in America. Li Yufang cade in depressione dopo essere stata abbandonata, ma quel chiacchierone di Zhang Damin la tira su di morale e poi la sposa. La tradizione cinese vuole che dopo il matrimonio la donna entri nella famiglia del marito e vada ad abitare nella casa di famiglia. Così la casa diroccata accanto al melograno diventa ancora più popolata con il suo arrivo: in sette a vivere in una casa di due stanze e una cucina.

Poi Wumin, studente prodigio, parte per gli studi lontano, Li Yufang rimane incinta, Sanmin trova dopo tanti tentativi una fidanzata da sposare e la famiglia si allarga ulteriormente, con l’installazione di due letti matrimoniali nella stanza più grande, dove le due coppie devono imparare a convivere, anche nei momenti più imbarazzanti e notturni.

Per tornare ad avere un minimo di serenità coniugale e silenzio Zhang Damin decide di costruire una stanza piccola dove inserire il letto matrimoniale suo e di sua moglie, accanto alla casa e attorno al melograno. L’albero sorgerà al centro e il letto con la sua struttura, materasso e lenzuola dovrà adeguarsi allo spazio attorno alla corteccia. Zhang Damin è di nuovo felice.

Tra cambi di lavoro, odore di vernice, tradimenti, piccoli geni, sorelle avare, problemi di denaro e di salute, morte, leggiamo la vita del ciarliero Zhang Damin e della sua famiglia. Assistiamo a scene tragicomiche che accanto alla disperazione regalano un sorriso al lettore: alcuni momenti rasentano l’assurdo e la demenzialità, altri fanno commuovere, altri ancora fanno ridere a crepapelle.

Zhang Damin è un uomo semplice, ottimista, che fa calcoli continui e pensa al modo migliore per essere felice e far sì che lo siano anche i suoi cari. Il ciarlielo Zhang Damin ha una famiglia che mai lo annoia, una casa che poi sarà destinata all’essere demolita per la riqualificazione urbana della città pechinese, un lavoro che non sempre gli regalerà gioie, ma mai perderà la speranza e il sorriso.

La lettura de La vita felice del ciarliero Zhang Damin di Liu Heng risulta essere piacevole, presenta un linguaggio spesso colorito nei termini, che però non disturba.

-Mamma, che senso ha la vita?

-A volte non ha nessun senso; eppure, appena ti pare che non abbia nessun senso, ti accorgi che, invece, ne ha moltissimo.

Editore: Atmosphere libri
Pagine: 138
Prezzo: 15€
Voto: 7/10

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Il crepuscolo del mondo – Werner Herzog

Il crepuscolo del mondo è un romanzo del regista tedesco Werner Herzog, nato nel 1942. L’autore racconta di come alla fine del secolo scorso, durante la presentazione di un film in Giappone, abbia avuto la possibilità di incontrare l’Imperatore Akihito. L’imbarazzo generale e il non sapere che cosa avrebbe potuto dirgli lo aveva portato al rifiuto dell’incontro e, conseguentemente, una grande vergogna. Ma il viaggio in Giappone non fu inutile, dal momento che ebbe modo di conosce Hiroo Onoda, il soldato giapponese che per quasi trent’anni dalla fine della Seconda guerra Mondiale aveva difeso, a modo suo, un’isola nelle Filippine, in attesa dell’arrivo vittorioso dell’esercito giapponese sulle sue sponde.

Così Herzog ci racconta dell’inizio del suo comando sull’isola di Lubang, quando nel dicembre del 1944 uno dei suoi generali gli ordinò, mentre lui e tutti gli altri soldati si ritiravano dall’isola, di nascondersi nella giungla e difendere il suo comando in nome del Giappone. Hiroo Onoda aveva poco più che vent’anni, un addestramento alla sopravvivenza alle spalle, un grande senso dell’onore, grande diffidenza nei confronti degli estranei e di tutti gli altri soldati che avrebbe incontrato in quegli ultimi giorni di fuga. Arrivavano dall’alto gli attacchi aerei nemici, degli americani. Onoda tentò, come richiesto dal suo comandante, di far saltare in aria il pontile del molo di accesso all’isola, oltre l’accampamento occupato fino a quel momento dai soldati giapponesi.

Durante le prime settimane di guerriglia solitaria, Onoda conosce Kozaka, Shimada e Akatsu, tre diversi soldati rimasti nel territorio di Lubang. La loro è una fuga continua nella giungla, un continuo nascondersi dai nemici, dai soldati filippini. A nulla vale l’arrivo dall’alto di aerei che lanciano volantini, verso la fine del 1945, con l’annuncio della fine della guerra. Onoda è diffidente: sicuramente è tutto stato macchinato dai nemici per farli uscire allo scoperto. Lui non si arrenderà, attenderà fiducioso l’arrivo dell’esercito imperiale, che sicuramente arriverà vittorioso.

Nel mentre gli uomini marceranno, fuggiranno, approfitteranno della nebbia per accendere fuochi e cucinare, saccheggeranno i pochi villaggi presenti sull’isola per approvvigionarsi. Produrranno da soli l’olio di cocco per conservare nei barattoli le munizioni e proteggerle dall’ossidazione e dalla ruggine a causa della grande umidità presente.

Passano gli anni, i compagni di Onoda pian piano spariscono o muoiono durante rappresaglie, Onoda sopravvivrà a centoundici imboscate. Rammenderà costantemente la sua divisa, che non cambierà mai per quasi trent’anni. D’altronde lui lo vede: continuano a sorvolare l’isola gli aerei nemici.

Tutto cambia quando un giorno di febbraio del 1974, Onoda riceve la visita di un tale Suzuki, un giovane universitario che ha deciso di mollare tutto per esplorare il mondo, per cercare il soldato fantasma, il giapponese che non ha mai saputo della fine della guerra. Suzuki gli annuncia la resa del Giappone del 1945, la successiva guerra di Corea, la guerra in corso in Vietnam, spiegandogli quindi la visione degli aerei che negli anni hanno continuato a sorvolare l’isola di Lubang. Onoda non si fida a tal punto da accettare la situazione, annuncia che si arrenderà solo se un suo capitano glielo ordinerà. E così Suzuki torna in Giappone e, grazie ad una foto fatta assieme ad Onoda, rintraccia un suo vecchio generale, che spingerà Onoda alla resa.

Dopo quasi trent’anni di assenza dal mondo, a combattere per una guerra già persa, portata avanti con orgoglio, grandissima forza di volontà, nonostante le difficoltà, il timore costante di incursioni, un enorme coraggio, Hiroo Onoda torna alla modernità, risvegliandosi quasi da un lungo sonno. E Werner Herzog ne racconta la storia, regalandoci un ritratto di un uomo impavido, forte, profondamente leale alla causa giapponese.

Hiroo Onoda che consegna la sua spada da samurai, appartenuta alla sua famiglia e tenuta con cura per quasi trent’anni nella giungla, al generale filippino di grado più elevato, in segno di resa. È il 9 marzo 1974: anche per il soldato fantasma Onoda la guerra è finita.

SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Feltrinelli
Pagine: 114
Prezzo: 14.00€
Voto: 8/10

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Sotto cieli rossi – Karoline Kan

Sotto cieli rossi è il romanzo d’esordio dell’autrice cinese Karoline Kan, pseudonimo di Chaoqun Kan, uscito in lingua inglese. Il romanzo si presenta come la storia di una vita, accanto alla storia di un popolo, quello cinese. Chaoqun nasce nel marzo 1989, ma viene registrata anagraficamente un mese dopo. Chaoqun è una secondogenita, una figlia nata nell’illegalità.

La politica del figlio unico infatti, propugnata dal Partito Comunista Cinese, a capo della Repubblica, esercitava uno strettissimo controllo sulle nascite. Nei tantissimi villaggi presenti in Cina c’era qualcuno adibito a effettuare controlli sulle donne fertili, sulle mogli, sulle donne che avevano già avuto un figlio. Shumin è una donna molto forte e coraggiosa, vive a casa del suocero con la suocera e il marito. Ha già adempiuto al suo ruolo di brava moglie e madre cinese mettendo al mondo un figlio maschio, destinato a tramandare il cognome e le tradizioni. Shumin inoltre insegna come supplente nel villaggio dei suoi genitori, lavora doppiamente quindi, dal momento che non si risparmia nell’aiutare i suoceri nella risaia.

Sorella Lin, l’incaricata dal governo per controllare le nascite nel villaggio di Shumin è molto potente: diventa difficile ingannarla. Sì, perchè Shumin e il marito stanno aspettando un secondo figlio. I controlli periodici vengono evitati o ingannati. Il governo ha deciso di inserire un anello vaginale come metodo contraccettivo all’interno della vagina per evitare gravidanze indesiderate. Solamente nelle famiglie contadine è possibile un secondo tentativo di gravidanza ed è permesso dal governo stesso il concepimento: se sfortunatamente la primogenita è una femmina. Questo non è il caso di Shumin.

Ma la donna riesce, non senza difficoltà, a portare avanti la gravidanza, a partorire, a pagare la multa, anche se in ritardo, per poter registrare la sua bambina e permetterle di avere tutto ciò che un documento le permetterebbe: dall’assistenza sanitaria, alla scuola, al lavoro futuro. I disaccordi poi con i suoceri porteranno Shumin a partire con marito e prole al seguito per il paese dei suoi genitori, Caiyuan. Qui Chaoqun stringerà amicizia con Chungun, sua cugina più piccola, comincerà la scuola.

Crescendo Chaoqun si accorgerà di come la politica del partito permei tutta la sua vita e quella dei propri cari: dalla politica repressiva contro il Falun Gong, una pratica religiosa vicina al confucianesimo, all’inizio accettata, ma poi osteggiata dal momento che attirava troppi proseliti; al silenzio e alla censura sulle notizie che potevano in qualche modo mettere in cattiva luce il Partito. Chaoqun sogna in grande, vuole diventare una giornalista. Studierà e verrà ammessa in un liceo importante nella città di Lutai, dove la famiglia si trasferisce durante la sua infanzia per avere una casa tutta sua. Qui si sentirà sempre un’immigrata dalle campagne, il suo hukou, il documento che contiene il suo paese di nascita, è una condanna. Da Lutai finirà a Pechino a studiare all’università, una laurea in economia, perché secondo i suoi genitori è la scelta giusta per trovare presto un lavoro, sposarsi e diventare anche lei una brava moglie e donna cinese.

Ma Chaoqun studia dopo il 2000, ha contatti con altri universitari, si fa domande, capisce che il Partito comunista non è del tutto buono; grazie a metodi illegali accede ad internet e scopre tante cose che in madrepatria vengono censurate. Si informa sulla Rivoluzione culturale, sulla storia della Cina di quando era piccola, su quello che sua madre e la sua famiglia, come tanti altri cinesi, hanno subito. Scopre della manifestazione di piazza Tienanmen, del massacro compiuto il 4 giugno 1989 dalle truppe Rosse del partito. Un giorno decide di scrivere un libro che racconti tutto, che sia un diario suo e non solo, per permettere di dare voce alla storia della Cina, alla storia di tante persone.

Sotto cieli rossi è un memoir di grande potenza, che attraverso la vita di Shumin prima e di Chaoqun, diventata Karoline per lavoro dopo, ci regala uno spaccato di storia cinese dalla seconda metà del secolo scorso ai giorni nostri. La Cina diventa un Paese in cui il suo popolo resiste silenziosamente, si adegua alle leggi e al massimo cerca di girarci attorno. Di grande impatto è la prima parte del romanzo, in cui Karoline Kan evidenzia la portata della politica del figlio unico, con tutte le sue conseguenze: la sterilizzazione forzata, l’impianto obbligatorio di anelli vaginali, gli aborti forzati anche a gravidanze inoltrate, le multe, le ripercussioni anche sui padri che decidevano di non rispettare la legge. Ma ancora colpisce la conseguenza sui bambini nati e non accettati dal governo, che non li registrava: i bambini in nero, il cui numero nel 2010 è stato stimato a tredici milioni, bambini per cui era impossibile andare a scuola, sposarsi, avere un lavoro legalmente, prendere i mezzi pubblici.

Non manca poi la discriminazione nei confronti delle femmine, l’idea che siano meglio i figli maschi, perché loro ereditano il cognome, mentre le femmine entreranno poi in una nuova famiglia, non potranno rispettare la tradizione e occuparsi delle tombe di famiglia. Le femmine, una volta morte, vengono cremate e aspettano la sepoltura fino a che anche i loro mariti muoiono. Karoline ci racconta delle vecchie generazioni, della nonna che per un soffio non ha dovuto subire la fasciatura dei piedi, pratica dolorosissima ma tanto in voga ancora a inizio Novecento tra le famiglie più importanti; ci racconta dell’essere donne nel ventunesimo secolo, del sentirsi ancora sotto l’influsso delle tradizioni, del femminismo necessario.

Sotto cieli rossi è una lettura ricchissima, pregna di famiglia, storia che, accanto alla critica di una politica e di un Paese che non garantisce libertà e che sembra spingere alla fuga i suoi cittadini, trasuda amore per la Cina, per il proprio retaggio. Karoline Kan ha deciso di lasciarne testimonianza, per chiunque avrà la fortuna di leggere queste pagine.

SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 300
Prezzo: 16,50€
Voto: 10/10

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Strane creature – Tracy Chevalier

Strane creature di Tracy Chevalier è un romanzo del 2009 pubblicato in Italia da Neri Pozza Editore.

Si tratta di un romanzo storico e in parte biografico in quanto narra la storia della paleontologa e scopritrice di fossili Mary Anning e della sua amica, Elizabeth Phillpot, anche lei scopritrice e collezionista di fossili.

Siamo agli inizi dell’Ottocento e le sorelle Phillpot, a causa della loro condizione economica, sono costrette a trasferirsi da Londra nella rustica Lyme Regis, un paesino sul mare nel Dorset.

Qui, la maggiore delle sorelle, Elizabeth, inaspettatamente inizia ad appassionarsi alla ricerca e alla collezione di piccoli fossili che vengono rinvenuti sulla riva dell’oceano. Si tratta, inizialmente, di piccole ammoniti di mare o di alcune vertebrelle. In seguito di veri e propri pesci fossili.

Questa sua passione la avvicina ad una bambina: Mary Anning. La ragazzina è sempre andata in cerca di fossili: ha un vero e proprio talento, la passione ereditata dal padre che le permette anche di sbarcare il lunario per lei e la sua povera famiglia.

Nonostante la differenza d’età le due diventano grandi amiche ed Elizabeth sente il dovere di difendere Mary dalle malelingue e dalle dicerie della gente. Soprattutto quando, un giorno, sulle scogliere che circondano Lyme, la giovane Mary trova il fossile di quello che, a prima vista, sembra proprio un grande mostro marino.

In realtà quello che sembra un mostro è un ittiosauro, un animale marino estinto da molto tempo. E, su quelle scogliere, pare non sia il solo. Inizia così, per Mary, una sorta di popolarità che chiamerà a Lyme molti uomini interessati ai fossili. Tra questi non tutti avranno delle buone intenzioni.

E sarà proprio a causa di questi uomini che tra Mary ed Elizabeth inizieranno le prime incomprensioni dettate dalla gelosia. Riusciranno le due donne a mantenere la loro amicizia nonostante tutto?

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Tracy Chevalier si appropria di una vicenda realmente accaduta e ne costruisce intorno un romanzo degno di nota.

La maggior parte dei fatti narrati, così come i suoi protagonisti, non sono frutto della fantasia della scrittrice ma trovano corrispondenza nei documenti storici dell’epoca. Infatti Mary Anning fu davvero una pioniera dei ritrovamenti scientifici che diedero inizio alla cultura dell’estinzione delle specie.

Ma le strane creature a cui la Chevalier fa riferimento nel titolo non sono solo gli animali ritrovati dalla Anning ma anche le due protagoniste: entrambe sono viste in maniera ostile da una società che non comprende la loro passione, che ne ha quasi paura. Agli occhi della gente per bene entrambe sono strane al pari di quei mostri che tanto adorano cercare.

Infatti, accanto alla veridicità storica del romanzo (molto interessante ed illuminante), la Chevalier è stata bravissima ad amalgamare anche la sfera psicologica dei personaggi che risulta interessante al pari delle scoperte scientifiche.

La narrazione è in prima persona, su POV alternati (Mary ed Elizabeth), il che rende tutto estremamente molto chiaro e lineare. Naturalmente il merito è anche dello stile della Chevalier: lineare, semplice, senza inutili fronzoli, accompagnato da un lessico altrettanto facile e apprezzabile anche ad un lettore alle prime armi.

Strane creature di Tracy Chevalier è un romanzo che mi ha conquistata e che mi sento vivamente di consigliare soprattutto a chi vuole vivere delle grandi emozioni anche senza storie d’amore.


SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Neri Pozza
Pagine: 288
Prezzo: 12.50€
Voto: 8/10

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L’ultimo rosa di Lautrec – Alessandro Barbero

L’ultimo rosa di Lautrec è un romanzo biografico di Alessandro Barbero, ambientato in una Parigi di fine ‘800, dopo l’affare Dreyfus, nell’inverno del 1899. Una domenica mattina Henry de Toulouse-Lautrec, un conte con una malattia genetica che lo ha condannato al nanismo, un pittore di prostitute, pubblicità di cafè concerti, ballerine, donne e uomini dediti al vizio dell’alcol, sviene e cade per strada.

Lautrec ormai manifesta i segni di una pazzia: vede scarafaggi, ragni, topi immaginari attorno a sé, il tutto acuito da un consumo smodato di alcol. A soccorrerlo per strada è una ragazza di diciassette anni, Yvonne Lesueur, una ballerina al Rat Mort: Yvonne ha pochissimo denaro, delle calze logore, pochi vecchi stracci addosso. Yvonne conosce il “nano”, lui è venuto spesso a trovarla al quarto piano sopra al locale da ballo: lei sogna che un giorno lui possa salvarla dalla miseria. Proprio il sogno ad occhi aperti di essere salvata dal ricco conte pittore spinge la ragazza a chiedere l’aiuto di un lavandaio. Questo carica Lautrec su una carriola e, dirigendosi verso la residenza di alcune prostitute poco lontano, dove anni prima lo stesso pittore aveva vissuto, incrocia un cronista, che cerca la notizia da sbattere in prima pagina su Le Figaro.

Quest’ultimo viene allontanato, mentre Lautrec viene trasportato inerme e senza pince nez alla casa di piacere. Per Madame, Céleste e tutte le altre Lautrec è un ospite molto gradito, anche se la sua situazione presente incute non pochi timori sulla sua salute mentale. Poi quella stessa domenica arrivano il dottore incaricato di visitare le prostitute tutte le settimane per controllare la presenza o meno di malattia veneree, accompagnato da un commissario di polizia. Così il nano viene scovato all’interno della casa e trascinato in caserma, dove verrà richiesta l’autorizzazione all’internamento.

Lautrec prima di riaddormentarsi, in uno dei suoi eccessi di sincerità mista a follia, chiede a Yvonne di cercare un suo cugino medico, che sicuramente lo aiuterà e lo salverà dalle grinfie di una famiglia che lo vuole diseredare e lo vuole impoverire. Yvonne corre verso i quartieri meno e più alti di Parigi, cercando il dottore.

Leggiamo così i vari punti di vista dei personaggi coinvolti, in questa domenica d’inverno, alla vigilia dei funerali di stato del presidente Faure, quando lo spirito antisemita serpeggiava, i dissidi tra soldati e borghesi scontenti aumentavano. Alessandro Barbero con la scusa di raccontarci una giornata del grande pittore della belle époque, ci presenta l’affresco di una Parigi fredda, la Parigi dei più poveri, dei piccoli commercianti, delle prostitute tesserate e schedate, dei ricchi che sperperano denaro in lungo e in largo, dei travolgimenti politici che avrebbero portato pochi anni dopo alla Grande Guerra.

Da queste pagine esce il ritratto di un artista, di un uomo, molto ricco e nobile di natali, ma che a causa del suo nanismo si è sempre sentito inadatto a rappresentare la sua classe sociale e per questo ha scelto rifugio negli ambienti dove cresce e si sviluppa un’umanità più laida, dove scorrono sesso e alcol, decidendo di rappresentarli nella sua pittura. Nel romanzo L’ultimo rosa di Lautrec siamo ormai alla fine della sua vita; nel 1901 Henry de Toulouse-Lautrec morirà, eppure da queste pagine il personaggio è tremendamente vivo e urla la sua vita, fa sentire la sua voce, per sovrastare chi lo ritiene pazzo e per rivendicare se stesso e il suo posto nel mondo.

Accanto a lui spicca la figura di Yvonne, una ragazza poco più che adolescente, costretta da una famiglia che l’aveva rinchiusa alla Salpetrière, un ospedale psichiatrico nella città, ad andarsene a vivere da sola secondo le sue capacità. Rimane sul fondo il richiamo ad una mancanza generale di fame, a un desiderio di non volersi alimentare, un po’ per difficoltà economiche, un po’ perché Yvonne sembra sempre in guerra con se stessa: se riesce a non mangiare per lei è una vittoria. D’altronde anche se tanto magra, ha le curve nei punti giusti e le sue gambe la fanno ballare e guadagnare.

L’ultimo rosa di Lautrec, romanzo ambientato in un unico giorno, offre grandi spunti di riflessione, soprattutto agli amanti dell’arte dell’artista: peccato che il libro sia ormai fuori catalogo e le uniche copie in commercio nei mercatini online siano a prezzi proibitivi. Consiglio la lettura con il prestito bibliotecario.

SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Mondadori
Pagine: 232
Prezzo: 14,98€
Voto: 7/10

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La belva nell’ombra – Edogawa Ranpo

La belva nell’ombra è un giallo dell’autore giapponese Edogawa Ranpo. Il racconto è narrato da Samukawa, un autore di romanzi polizieschi, che si ritrova invischiato in un mistero dai molteplici segreti.

Un giorno in un museo conosce Shizuko Oyamada, una donna bellissima che lo affascina fin da subito. Shizuko è sposata con un uomo importante, è appassionata di romanzi gialli e conosce quelli di un autore avverso a Samukawa: Oe Sundei.

Qualche mese dopo la conoscenza Samukawa viene chiamato da Shizuko per qualcosa che la spaventa: ha ricevuto delle lettere minatorie da Hirata Ichiro, un uomo del suo passato. Hirata è stato il suo amore della giovinezza, ma ben presto il ragazzo aveva dimostrato un attaccamento morboso per la ragazza, costringendola a cogliere l’occasione della bancarotta del padre per fuggire.

Poi Shizuko aveva incontrato Rokuro Oyamada, con cui si era legata e poi sposata. Shizuko aveva nascosto la sua relazione passata al marito, preferendo omettere il fatto che non era più vergine. Per cui l’arrivo della prima lettera di Hirata spaventa ulteriormente Shizuko. Hirata le comunica la sua intenzione di vendicarsi del suo comportamento in gioventù: ora che l’ha ritrovata non intende lasciarla in pace, sa che il marito non sa nulla e vuole rovinarle la vita. Nella lettera sono presenti anche frasi riguardo ai gesti e alle azioni compiute da Shizuko nell’intimità della sua casa.

Samukawa arriva alla casa della donna per indagare, ben presto scopre anche che Hirata Ichiro è diventato Oe Sundei, è lui l’uomo che ha riversato tutte le sue turbe mentali e follie nel racconto di romanzi e racconti gialli.

Samukawa inizialmente sottostima la veridicità delle minacce di Hirata/Oe, approfitta però della vicinanza di Shizuko per godere della sua compagnia. La donna è bellissima e il nostro scrittore nota che dal kimono spuntano delle ferite come di frustate. Capisce che Rokuro è un uomo con passioni sadomasochiste.

Ben presto dopo la prima lettera ne arriva un’altra, in cui Hirata/Oe racconta per filo e per segno le azioni compiute in una sera da Shizuko, dimostrando di averla spiata e annunciando che magari proprio mentre sta leggendo quella lettera i suoi occhi la guardano. Shizuko è spaventata, anche perché l’uomo ha minacciato di uccidere anche suo marito, accorgendosi di quanto lei lo ami. Poi inizia a sentire il ticchettio di un orologio e ha la sensazione che degli occhi la guardino dalle travi del soffitto.

Samukawa indagando nella villa e salendo nella soffitta scorge tante impronte nella polvere, trova un bottone di un paio di guanti a terra e il passaggio da cui il misterioso guardone sarebbe entrato nella casa. Riconosce alcuni schemi d’azione contenuti nei romanzi dell’autore suo opposto: possibile che quindi davvero Oe Shundei, dopo essere scomparso nel nulla da mesi, cercato a lungo ma mai trovato, uomo sempre conosciuto per la sua misantropia, stia seriamente minacciando la sua ex fidanzata e sia disposto ad andare oltre le parole?

Tutto procede con apparente tranquillità, finchè un giorno viene ritrovato nel fiume il corpo di un uomo: Rokuro Oyamada.

Samukawa si ritrova così a dover diventare ulteriormente un detective, per indagare su cosa sia successo davvero, scovare quella belva nell’ombra che ha tanto spaventato Shizuko. Ma qual è la verità?

Il romanzo si dipana per poco più di 100 pagine ribaltando più volte la prospettiva di indagine: chi è davvero Oe Sundei? Chi ha ucciso Rokuro Oyamada? Chi è Shizuko Oyamada? Samukawa proverà a dare una risposta a tutte queste domande, trovando ogni volta una risposta diversa e rimanendo con il dubbio fino alla fine di questa tragedia.

Edogawa Ranpo si è rivelato una piacevole sorpresa: il lettore viene incalzato a seguire le indagini e a scoprire il colpevole del delitto e delle minacce, ma rimane anche lui con il dubbio finale su quale sia la giusta interpretazione dell’intera vicenda. Ranpo ha costruito una figura femminile piena di fascino e di lati nascosti, così come ha costruito il personaggio dello scrittore/ex fidanzato, che per il suo spirito masochistico, voyeuristico, ricorda molto alcuni personaggi di Junichiro Tanizaki. Inoltre lo stile della narrazione in traduzione italiana permette al lettore di leggere le pagine senza annoiarsi, ma anzi, provando un sentimento di curiosità costante.

SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Marsilio (edizione in foto uscita in edicola con Repubblica)
Pagine: 163
Prezzo: 14€/8,90€
Voto: 7,5/10

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L’inventore di sogni – Ian McEwan

L’inventore di sogni di Ian McEwan è un romanzo pubblicato nel 2015 da Einaudi Editore.

Peter è un bambino che sin da piccolissimo si è sempre lasciato trasportare dai propri sogni.

Sogna ad occhi aperti di far sparire tutta la sua famiglia grazie ad una magica pomata. O di prendere il posto del gatto e fargli riprendere la supremazia sul quartiere.

Oppure sogna che le mille bambole della sorellina predano vita e lo malmenino per ottenere la sua camera.

Insomma, veri e propri sogni ad occhi aperti che arrivano con facilità e con la stessa facilità sfumano via.

Si tratta di un libro scritto per ragazzi ma che anche agli adulti “male non fa”.

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McEwan, attraverso i sogni rocamboleschi e a volte un po’ macabri di un bambino, scava come sempre nell’animo umano mettendo a nudo paure, fragilità e desideri.

Come sempre traspare la maestria dell’autore di mettere nero su bianco quello che un uomo a volte non confesserebbe nemmeno a se stesso.

Eppure, il fatto che si tratti di un libro per ragazzi, con protagonista un ragazzino, restituisce un McEwan filtrato: non può dare sfogo alle sue ossessioni adulte quindi si ricalibra e si adegua al target imposto.

Ho letto altri libri dello stesso autore e devo dire che questo, pur essendo piacevole, non arriva minimamente a toccare i livelli degli altri romanzi.

L’inventore di sogni di Ian McEwan è un libricino di cui consiglio comunque la lettura soprattutto a quegli adulti che si sono dimenticati com’era sognare a undici anni.


SCHEDA DEL LIBRO

Editore: Einaudi
Pagine: 105
Prezzo: 11.00€
Voto: 7/10