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Belli e dannati di Francis Scott Fitzgerald

“Quando comprare in scena, si chiede spesso se non sia privo di onore e leggermente pazzo, un velo vergognoso e osceno che scintilla sulla superficie del mondo come olio su uno stagno limpido, e naturalmente questi momenti si alternano con quelli nei quali si considera un giovanotto piuttosto eccezionale, profondamente sofisticato, ben intonato al suo ambiente e vagamente più interessante di chiunque altro a sua conoscenza.”

Fitzgerald in ogni suo romanzo mette una parte di sé come ogni scrittore direte voi, ma io credo fortemente che nella sua scrittura la dimensione personale sia fondamentale. Leggiamo Il grande Gatsby e ritroviamo Zelda e Scott, leggiamo Tenera è la notte e abbiamo la sensazione che quella follia narrata, sia la follia di Zelda e lo stesso accade in Belli e dannati.

Anthony Patch il protagonista del romanzo, è un giovane ricco e affascinante, stanco della vita a poco più di vent’anni, che si fa strada nel mondo grazie ad una cospicua rendita e che spera la morte del nonno arrivi quanto prima per ereditare tutto ciò che egli possiede.

Ha una ragazza che però allontana:

“(…) per il timore che un qualsiasi impiccio potesse disturbare quella che sentiva essere la crescente serenità della sua vita”.

Gloria però sarà la Zelda di Anthony. Con lei tutto cambierà. Giovane, bella, sfrontata, irrequieta, desiderosa di sfondare come attrice, in una parola: indomabile. Mentre Anthony dal canto suo è estremamente debole.

La debolezza sarà la sua rovina e come per i Fitzgerald saranno le feste, la frenesia e i fumi dell’alcol a porre fine al loro sogno d’amore e felicità, così Gloria e Anthony saranno risucchiati dalla rabbia, dall’insoddisfazione, dal fallimento che tanta superficialità e leggerezza di spirito porta.

Quadro perfetto della società americana dei primi anni ‘20, Belli e dannati offre uno spaccato della società corrotta, priva di valori e nettamente in contrasto con la morale vittoriana del secolo precedente.

Gloria affogherà il dispiacere della perdita dell’eredità del marito una volta che quest’ultimo sarà partito per la Grande Guerra, fra una festa e l’altra, lui cederà alla tentazione di un nuovo amore e una volta che tutto sarà finito, che sarà tornata la pace, che i due coniugi si saranno riuniti, per cosa varrà la pena lottare? Si può cercare di salvare un legame ormai instabile, se alla base di questo non c’è nulla che valga la pena risanare?

Fra sfrontatezza e follia, superficialità e critica di se stesso e della società nella quale Fitzgerald vive, leggiamo dell’ America dei Roaring Twenties, della frenesia dell’età del jazz, di quella gioventù che non deve chiedere e che sente che ogni cosa gli sia dovuta.

Se amate una scrittura sincera e pungente, Fitzgerald fa per voi. Ogni suo libro.

“L’intimità si crea così. Prima si dà il miglior ritratto di se stesso, un prodotto splendente e rifinito, ritoccato di vanterie e falsità e umorismi. Poi diventano necessari i particolari e si dipinge un secondo ritratto e poi un terzo… In breve i lineamenti migliori si cancellano… e finalmente si rivela il segreto: i piani dei ritratti si sono mescolati e ci hanno tradito, e per quanto continuiamo a dipingere non riusciamo più a vendere un quadro.”

Scheda del libro

Editore: Mondadori

Prezzo: 14 euro

Pagine: 363

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Nove racconti di J.D. Salinger

Ho conosciuto e letto Salinger ai tempi del liceo e, come molti, sono partita dal suo libro celeberrimo Il giovane Holden. Già dalle prime pagine del romanzo, non si può che amare la voce scanzonata e strafottente di Holden, un giovane anticonformista divenuto simbolo di una volontà comune agli adolescenti di ogni epoca, quella di libertà, indipendenza e autodeterminazione.

Non potevo immaginare che, solo svariati anni dopo, avrei ripreso in mano un libro di Salinger. Mi chiedo ancora perché io abbia fatto passare tanto tempo…

I Nove racconti editi Einaudi e pubblicati per la prima volta in Italia nel 1953 con traduzione di Fruttero, la stessa che ho letto io avendo trovato questa perla in una libreria dell’usato, vi faranno innamorare di un autore conosciuto troppo spesso solo per il suo capolavoro.

Per me è un grande peccato. I racconti, ancora considerati lettura di nicchia e che non riescono a prendere piede fra i lettori italiani, hanno una poesia e una profondità che ergono Salinger a maestro indiscusso del genere.

– Tu devi solo tenere gli occhi bene aperti per il caso che passi qualche pescebanana. Questo è un giorno ideale per i pescibanana.

– Non ne vedo neanche uno.

– E’ comprensibile. Hanno delle abitudini molto singolari. Molto, ma molto singolari.

Continuò ad avanzare spingendo il materassino. L’acqua non gli arrivava al petto. – E’ una vita molto tragica, la loro, poveretti, – disse. – Lo sai cosa fanno, Sybil?

Sybil scosse il capo.

– Vedi, nuotano dentro una grotta dove c’è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci qualunque, quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati, si comportano come dei maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi pescibanana che, dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane -. Avvicinò di mezzo metro all’orizzonte il materassino e la sua passeggera. – Naturalmente, dopo una scorpacciata simile sono così grassi che non possono più venir fuori dalla grotta. Non passano dalla porta.

– Non troppo lontano, – disse Sybil. – E poi, cosa fanno?

– Cosa fanno chi?

– I pescibanana.

– Oh, vuoi dire dopo che hanno mangiato tante banane che non possono più uscire dalla grotta bananifera?

– Sì, – disse Sybil.

– Ecco, mi rincresce molto di dovertelo dire, Sybil. Muoiono.

L’ abilità di un grande scrittore di racconti sta nel sintetizzare vite intere in poche pagine, descrivendo ma non troppo, lasciando gli attori delle vicende costantemente avvolti da un alone di mistero che li rende immortali e mai completamente noti. C’è sempre quella parte di noi che si chiede “cosa è successo dopo?”. Ed è in questo che Salinger si distingue dagli altri: apre finestre su mondi misteriosi e su vite delle quali sappiamo poco e sapremo ancora meno alla fine della lettura, ma il lettore è ormai troppo coinvolto per non restare ammaliato dalla prosa incalzante e raffinata dell’autore tanto quanto dalla singolarità dei personaggi creati dalla sua penna.

Sono i personaggi il perno dei racconti; essi vengono abilmente caratterizzati da dialoghi precisi, brillanti e immediati. Le battute donano ritmo alla narrazione, così come le pause sigaretta o alcol usate come espediente per rallentare il ritmo delle storie. I veri protagonisti sono i bambini, alcuni troppi maturi per la loro età come Esmé o Teddy, altri si nascondono dialogando con amici immaginari, altri diventano compagni di gioco di un soldato… ognuno ha una personalità ben definita. Non sono semplici invenzioni letterarie, sono reali, complessi e con personalità a tutto tondo.

<<Padri e maestri, io mi chiedo “Che cos’è l’inferno?” Io affermo che è il tormento di non essere capaci d’amore>>.

Le tematiche sono di gran lunga più semplici. La descrizione della quotidianità la fa da padrone quanto quella della società americana degli anni ‘40-‘50, delle sue paranoie e della sua superficialità ( vedi lo zio Wiggily nel Connecticut).

A questo si affianca un sottofondo: il silenzio assordante della guerra che trova spazio in maniera incisiva come nel primo racconto Un giorno ideale per i pescibanana o in Per Esmé: con amore e squallore.

Questi assieme a Teddy, sono stati quelli che ho letto e apprezzato maggiormente.

Se volete approcciarvi per la prima volta all’autore, visti i riferimenti anche a personaggi che ritroveremo in altri libri, come ad esempio i membri della famiglia Glass, magari partite da Holden, ma una volta letto quello, non dimenticate che ha scritto altro, tornate i libreria e fate vostra questa raccolta… e magari date una possibilità ai racconti in generale, perché potreste imbattervi in gioiellino del genere.

Voglio dire che non sono capaci di volerci bene così come siamo. Non sono capaci di volerci bene se non possono sempre cambiarci un poco. Amano le ragioni per le quali ci amano quasi quanto ci amano, e quasi sempre di più. È una cosa che non va bene.

Scheda libro:

Editore: Einaudi

Pagine: 226

Costo: 12 euro

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La Fiera della Vanità-William M. Thackeray

“Quando l’imbonitore siede sul palco davanti al sipario e guarda la Fiera, un senso di profonda malinconia lo invade nel contemplare un luogo tanto chiassoso. C’è gente che mangia e che beve, che fa all’amore e che litiga, che ride, che piange, che fuma, truffa, lotta, balla e suona il violino; ci sono prepotenti che lavorano di gomito, bellimbusti che fanno l’occhietto alle donne, poliziotti all’erta, ciarlatani (ancora ciarlatani: la peste li colga!) che urlano davanti ai baracconi, contadini che ammirano a bocca spalancata le ballerine coperte di lustrini e i poveri vecchi saltimbanchi infarinati, mentre tipi dalla mano leggera lavorano destramente nelle tasche. Sì, è la Fiera della Vanità, un luogo non certo edificante, e neppure allegro, benché tanto rumoroso.”

Così viene presentato al lettore il romanzo al quale Thackeray ha lavorato tra il 1844 e 1845, la Fiera della Vanità.

Vanity Fair non è altro che un grandioso affresco della società inglese del primo Ottocento, un mondo fittizio sì, ma che rispecchia perfettamente l’aria di cambiamento che stava vivendo l’Inghilterra di quegli anni. L’autore descrive in maniera precisa, sarcastica, senza risparmiare nulla a nessuno, vizi e virtù di una società malata e nella quale nessuno dei componenti si salva.

La scrittura è elegante, lo stile dell’autore rende la lettura scorrevole nonostante la mole del volume. Come Thackeray stesso affermò più volte, il romanzo è senza eroe, se col termine eroe si intende un modello di saggezza e virtù. I personaggi che vengono perfettamente descritti e che si succedono nella narrazione, non hanno nulla dell’eroe classico; sono uomini, peccatori le cui mire li portano a non farsi scrupoli di alcun genere. Non leggeremo di pentimenti, crescite personali, moralismi… è solo dai proprio desideri e dalla propria soddisfazione che tutti vengono mossi.

Anche se in un romanzo del genere è difficile poter trovare un personaggio al quale affezionarsi, io sono stata affascinata da una delle protagoniste del racconto Becky Sharp: astuta, arrivista, per nulla sentimentale, a tratti cinica ma estremamente magnetica. Uscita da Chiswick Mall, famoso Istituto per ragazze diretto dalla signorina Pinkerton, Becky decide di riscattarsi, di trovare il suo posto nella società e nel mondo, non facendosi intralciare né dalle maldicenze e dai pettegolezzi dei quali è soggetta né dalla sua origine umile. Figlia di un pittore e di una ballerina francese, è animata dalla sua voglia di farcela; la sua perseveranza è una caratteristica che non può lasciare indifferenti, e già per questo, la rende ai miei occhi simpatica. Vive approfittando delle persone fino a quando le sono utili, e poi le allontana, gettandole via nel momento in cui non sono più funzionali ai suoi scopi.

Assolutamente terribile, incapace di provare amore per il figlio, spocchiosa quanto dotata di coraggio e faccia tosta. Totalmente all’opposto l’altra protagonista femminile Amelia Sedley, la giovane compagna di collegio ed unica amica, ingenua, innamorata di George, uomo idealizzato e nella realtà marcio fino al midollo. Inutile quindi ricercare virtù inesistenti, la società descritta è meschina, gli uomini e le donne che la compongono sono infidi, avidi, arrivisti e superficiali. Chissà quanti lettori dell’epoca si saranno rivisti in Sir Pitt, Dobbin o George…

Da leggere come racconto della natura umana, prima che come descrizione di un mondo racchiuso in una determinata epoca. La sua profonda verità lo rende universale.

“Tutti l’avevano trattata male, asseriva quella giovane misantropa, ma indubbiamente coloro i quali vengono trattati male hanno soltanto ciò che si meritano. Il mondo è uno specchio capace di riflettere unicamente l’immagine che riceve: mettetegli il muso, lui risponderà con uno sguardo crucciato; ridete di lui, e sarà per voi un compagno gentile e gioviale; i giovani, quindi, sono liberi di fare la scelta che vogliono. Se il mondo trattava male la signorina Sharp, è certo che lei non si era adoperata in favore di qualcuno.”

Scheda del libro:

Editore: BUR

Pagine: 871

Costo: 13 euro

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Il velo dipinto di W. Somerset Maugham

La storia narrata ne Il velo dipinto di W. Somerset Maugham è una delle più classiche che si possano raccontare e per questo non è sicuramente l’elemento che più colpisce il lettore: una moglie intesse una relazione extraconiugale con un affascinante uomo, anch’egli sposato. Il tutto sembra procedere per il verso giusto fino a quando lei non ha la sensazione che la tresca sia stata scoperta dal marito. Il suo sesto senso pare avere ragione, il marito ha capito del tradimento subito e organizza la più spietata delle vendette: far comprendere alla moglie, tramite l’espediente della richiesta del divorzio da avanzare al suo amante, che egli, del cui amore lei è totalmente certa, sia in realtà un ipocrita egoista pieno di sé, decisamente poco intenzionato a lasciare la sua vita matrimoniale sicura e per certi versi priva di problemi, per l’ingenua donna per la quale professava amore eterno.

Con questa premessa sarà facile comprendere quanto l’elemento che rende il romanzo estremamente interessante e per nulla noiosa, quello che mi ha tenuta incollata alle pagine, sia non la storia in se quanto l’analisi psicologica dei personaggi che Maugham, con uno stile preciso ed estremamente curato, riesce ad attuare.

Il racconto si svolge ad Hong Kong e vede come protagonista la giovane Kitty, donna inglese che segue il marito batteriologo, sposato più per accontentare la madre preoccupata per il suo destino e per il futuro da zitella che pareva sempre più prossimo, che per amore. Ed il mancato sentimento la porterà a commettere adulterio nei confronti del marito Walter; il dolore, il dubbio, la colpa saranno i perni della narrazione. Ma se da un lato Kitty è la classica donna medio borghese, come la descrive il marito “ sciocca e frivola e una testa vuota. Le tue aspirazioni e i tuoi ideali erano banali e volgari” dall’altro è una donna che cerca di andare avanti e superare il terribile errore commesso. La scelta, dopo l’aver smascherato l’amante Charlie, di seguire il marito in una missione suicida scelta da lui a Men-tan-fu, zona nella quale imperversava il colera, una sorta di punizione finale per il tradimento subito, rivela una grande intenzione di redenzione.

In questo luogo Walter, come il lettore potrà ben aspettarsi, si ammalerà fino a lasciarvi la vita. Kitty non lo abbandonerà un attimo, lo accudirà e se ne scoprirà quasi innamorata, un amore frutto della conoscenza reciproca, un amore che sarebbe potuto accrescersi sempre più solo con il tempo dalla loro. Ed è da questo episodio che la donna riuscirà a riprendersi la propria vita; conscia di una gravidanza frutto (forse) del tradimento, Kitty, così messa alla prova dalla vita, dagli eventi e dalla sua superficialità, uscirà più forte di prima.

La sua sarà una evoluzione, una crescita in positivo, un avvicinamento alla spiritualità e all’affetto della sua famiglia di origine, frutto anche della vita che cresce dentro di lei.

Un romanzo banale nella storia forse, ma decisamente profondo per le emozioni che mette in luce e che per questo può rivelarsi una lettura adatta ai lettori più sensibili quanto anche ai più esigenti.

“Per questa volta lascia che parli con franchezza, papà. Sono stata sciocca, cattiva, odiosa. Sono stata terribilmente punita. Sono bene decisa a salvare mia figlia da tutto questo. Voglio che sia impavida e schietta. Voglio che sia una persona, indipendente dagli altri perché padrona di sé, e voglio che prenda la vita da persona libera e ne faccia un uso migliore di quello che ho fatto io.”

Scheda libro:

Editore: Adelphi
Pagine: 234
Costo: 11 euro

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10 libri per tutti da regalare a Natale

In occasione del super imminente Natale 2017, noi di Leggendo a Bari vorremmo consigliarvi 10 titoli da regalare ad un amico lettore e non. 10 romanzi che, secondo noi, sarà impossibile non amare!

1. L’Avversario – Emmanuel Carrère

librocarrereQuesto libro mi ha folgorata. L’avversario di Carrère è un libro agghiacciante, una storia vivida che lascia un segno profondo. “Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L’inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient’altro. Da diciott’anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone il cui sguardo non sarebbe riuscito a sopportare.” (ibs.it)
Emmanuel Carrère disegna per noi i tratti enigmatici di questo personaggio che, a sangue freddo, ha deciso di sterminare i suoi cari. L’autore, che ha incontrato egli stesso Jean-Claude Romand, descrive la sua personalità in ogni sfaccettatura con un’abilità disarmante. L’avversaio è una storia sconvolgente, con un protagonista pregno di duplicità e Carrère dipinge per noi l’uomo e l’assassino in una modo che lascia senza fiato. Se volessi fare un regalo eccezionale, beh, regalerei questo libro.   (Patrizia)
Prezzo: 17 €

2. Omero, Iliade – Alessandro Baricco

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Chi mi conosce sa che amo Alessandro Baricco e che adoro i suoi romanzi. Tutti conoscono i poemi omerici e le storie e avventure degli eroi greci e troiani: Achille, Ulisse, Ettore, Paride. Questa è una trascrizione in chiave letteraria dell’Iliade, raccontata dal punto di vista dei singoli personaggi che si alternano nella narrazione. Non ci sono gli dei, ma solo coloro che la guerra l’hanno combattuta e vissuta: abbiamo la voce di Cassandra, di Briseide e di tanti altri. E’ un concertato che rinnova ciò che abbiamo imparato sui banchi di scuola. Consigliato agli amanti dell’epica ma anche per un regalo ad un giovane ragazzo, per smontare la percezione scolastica. (Lydia)
Prezzo: 8,50 €

3. L’amore che mi resta – Michela Marzano

arton146672Daria è una donna che si trova, improvvisamente, a lottare cosa un qualcosa di enorme: il dolore che può provocare la perdita di un figlio. Dolore ancora più grande quando si capisce che si è trattato di suicidio. Perché Giada, figlia adottiva di Daria e Andrea, ha deciso proprio di suicidarsi. Ed è da questa orribile vicenda che si dipana questo romanzo: quasi un diario, un lungo flusso di coscienza che ripercorre un sentiero fatto di buio e di dolore che Daria dovrà necessariamente percorrere per ritornare a vivere.
Un romanzo lacerante ma anche immensamente dolce che lascerà al lettore un retrogusto dolce-amaro e tanto a cui pensare. (Daniela)
Prezzo:17,50 €

4. Che la festa cominci – Niccolò Ammaniti

ammanitiArriva Natale e per tutti coloro che decidono di regalare libri (ottima scelta!) gli interrogativi sono tanti. In linea di massima il mio consiglio è quello di buttarsi su delle letture che abbiano uno stile scorrevole e una trama originale: un mago in questo senso è senza dubbio Ammaniti. Le sue storie sono sempre a metà strada tra il buffo ed il grottesco, alcuni passaggi fanno persino accapponare la pelle, altri ridere come non mai… ce n’è per tutti i gusti! Tra tutti i suoi romanzi mi sento di consigliarvi Che la festa cominci, un romanzo corale, affresco di vizi e virtù della nostra epoca dove una serie di bizzarri personaggi intrecciano casualmente i propri destini per dare vita ad una storia strampalata e divertente. Si parla di una grande festa mondana nel cuore di Roma, una setta satanica dai bizzarri adepti e uno scrittore sulla via del fallimento… insomma, i presupposti per un ottimo libro ci sono tutti! Assolutamente consigliato. (Giulia)
Prezzo: 14 €

5. Le otto montagne- Paolo Cognetti

Questo è il libro dell’anno. La storia narrata è quella dell’amicizia fra due uomini Pietro e Bruno; un rapporto fatto di silenzi, conversazioni incomplete e frasi sospese.
La montagna sarà la grande protagonista del racconto, fornendo lo sfondo perfetto per la descrizione di un ,modo fatto di sacrifici, solitudine e introspezione. Il rapporto padre/figlio poi, sarà un altro tema sviluppato con estrema delicatezza e troverà spazio anche lo scontro fra generazioni e modi di vedere il mondo tanto distanti, quanto complementari. Vincitore dell’ultimo Premio Strega, è il regalo perfetto per animi sensibili e sognatori che apprezzeranno senz’altro lo stile preciso ed evocativo di Cognetti. (Nicole)
Prezzo: 18,50 €

6. Cyrano de Bergarac – Edmond Rostand

oTruW7n6cCry_s4-mChi conosce i miei gusti letterari sa benissimo quanto io ami i classici di ogni epoca e quanto io vada alla ricerca di opere che mettano in moto un processo introspettivo mente-cuore, bandendo in assoluto il banale happy ending. Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand è tutto questo e molto altro.
Sottile è la linea che separa il tragico dal comico in questa piccola grande opera di Edmond Rostand. Se l’elogio del naso vi farà ridere di gusto, le malinconiche riflessioni di Cyrano vi renderanno, battuta dopo battuta, vicini al suo “umano sentire”. L’ironia, mai fine a se stessa, addolcisce l’amarezza dell’amore non ricambiato per la bella cugina Rossana. Quest’ultima, però, confessa a Cyrano di essere follemente innamorata del valoroso e avvenente Cristiano. Ed è proprio questa situazione a mettere in moto l’azione teatrale: Cristiano sarà la “maschera” che pronuncerà in presenza di Rossana le bellissime parole, piene di sentimento, suggerite dall’abile Cyrano. I due uomini sono complementari, sono l’uno la parte mancante dell’altro: la bellezza estetica incontra la bellezza della parola, la forma incontra la poesia.
Amore e amicizia, i due temi attorno ai quali gira tutta l’opera, si intersecano formando un ordito aureo. La verità dell’amore, quello puro, sincero, incondizionato, resistente anche alla guerra, sarà la cifra di Cyrano e dell’opera tutta.
La meraviglia della scrittura di Rostand consiste nella capacità di permettere al lettore – pagina dopo pagina – di far proprie le inquietudini, i sentimenti e le riflessioni dei personaggi, giungendo dal particolare all’universale. La maschera di Cristiano/ Cyrano cade e con questa la pretesa di circoscrivere i personaggi alla pagina scritta: vi è infatti il rispecchiamento totale tra il lettore e il personaggio. (Marika)
Prezzo: 9,50 €

7. Follia per sette clan – Philip K. Dick

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Dalla penna peculiare di Philip K. Dick, famoso scrittore di fantascienza, questo libro rappresenta un connubio tra finzione e amaro realismo. La visione dei disturbi mentali, di stampo più arcaico, non intacca, però, i significati morali che l’autore vuole mandare.  I temi trattati sono quelli dell’inettitudine, del confine tra malattia e normalità, della visione della donna e della passione, evidenziando un dualismo tra amore e promiscuità.
Il romanzo sembra un viaggio onirico nella psiche non solo del protagonista, ma dello scrittore stesso, il tutto condito da un intreccio pieno di enigmi e colpi di scena, umorismo, creature bizzarre e tanta riflessione. Una lettura sempre attuale. (Sabry)
Prezzo: 9,90 €

8. La straniera – Diana Gabaldon

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Il libro che mi sento di consigliarvi da regalare per Natale, è un romanzo che io stessa ho letto (o meglio divorato) in questi giorni natalizi. Si tratta del primo libro della serie “Outlander”, La Straniera, uno dei libri più avvincenti e appassionanti che mi sia capitato di leggere ultimamente. Narra la vicenda fuori dall’ordinario di una ex infermiera militare, Claire Beauchamp, la quale, in visita ad un antico cerchio di pietre in Scozia, dove si trova in vacanza, viene inspiegabilmente trasportata indietro nel tempo, nella Scozia del 1743. Claire si ritroverà ad affrontare un mondo completamente nuovo, abitato da uomini e donne con abitudini lontanissime dalle sue. In questo mondo sconosciuto, incontrerà un giovane guerriero scozzese, Jamie Fraser, al quale si troverà legata da un amore inaspettato e intenso. La guerra di ribellione tra i clan delle Highlands scozzesi contro gli invasori inglesi, fa da sfondo e si intreccia alla storia dei due protagonisti. Dunque, un romanzo storico, impreziosito da una storia d’amore e passione che vi terrà con il naso incollato alle pagine per tutto il periodo natalizio! (Polly)
Prezzo: 12 €

9. Il Cerchio – Dave Eggers

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Se vi piacciono i distopici, o se non vi piacciono (provateci, dai!) io vi consiglio Il Cerchio di Dave Eggers. Il Cerchio è una grandissima società che non ha concorrenza. È potente, innovativa, all’avanguardia. Avere un posto al Cerchio, significa diventare parte di un enorme meccanismo che detiene “il potere” di tutto o quasi. Mae Holland, dopo un lavoro sconclusionato e decisamente poco appagante, riesce ad ottenerlo. Cosa c’è all’interno della società che ha concepito un nuovo modo di gestire le informazioni di tutti e dove la privacy sembra un reato? Come funzionano i suoi ingranaggi? Se volete addentravi all’interno di una lettura interessante e attualissima, questo libro fa al caso vostro. In questo romanzo potrebbe esserci la realtà. Forse un futuro prossimo? Non lo so. Ma gli spunti di riflessione saranno tanti e automatici, naturali. Una lettura appassionante davvero adatta a tutti. Straconsigliato! (Patrizia)
Prezzo: 14,50 €

10. Festa Mobile – Ernest Hemingway

downloadSe vi è capitato di guardare il film di Woody Allen, Midnight in Paris e innamorarvene perdutamente e sognare di poter conoscere tutti i più grandi artisti del primo 900, questo è il libro giusto per voi. Ernest Hemingway con la sua prosa unica, racconta la città più amata dallo scrittore, la Parigi degli anni Venti. Il posto più bello per lavorare, dove era “povero ma felice”. Tra feste, bevute, corse di cavalli, passeggiate per la Rive Gauche, visite alla libreria Shakespeare e Company sarete immersi in un’atmosfera di libertà, vita e fervore. Hemingway si muoverà tra i più grandi intellettuali, da Ford Maddox Ford, a Getrude Stein, a Ezra Pound, James Joyce e Francis Scott Fitgerald. Un inno al passato, un’opera d’addio che celebra la vita parigina come una splendida giornata di festa.
(Ilaria)
Prezzo: 10 €


Autrici: dolcedany84ilariamoruso, patriziaHeathcliff, maribooklover93sabrinaguaragnopollyy91

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Il mio cane del Klondike di Romana Petri

La mia Kira

Solo chi ha la fortuna di poter convivere con un animale, cane o gatto che sia, può comprendere quanto sia stata provante per me la lettura di questo romanzo. Il nuovo lavoro di Romana Petri Il mio cane del Klondike edito Neri Pozza usa il pretesto del racconto dell’incontro di una donna, insegnante precaria con un cane per analizzare qualcosa di molto più profondo; usando le parole dell’autrice “come si fa a perdonarsi per aver deluso un’anima pura anche se vestita d’atroce?”.

Il tema perno della narrazione è l’amore incondizionato verso qualcuno che può essere sbagliato ma capace di sentimenti sinceri, genuini e imperituri.

Il protagonista del romanzo, gli occhi che fissano il lettore con determinazione e insofferenza sono quelli profondi, distrutti ma anche pieni di vita e di voglia di amare, di Osac (questo è il nome scelto per lui dalla sua nuova padrona) o Osacchio come teneramente lo chiama la sua salvatrice.

Sì, salvatrice perché il loro incontro non sembra per niente essere stato frutto del caso. Il cagnolone morente ricoperto di pulci e sporcizia, attendeva la sua fine sul ciglio di una strada, la stessa strada che avrebbe percorso la donna voce narrante del romanzo.

“Lo dominava l’impeto della vita, la marea dell’essere, la gioia perfetta di ogni muscolo, di ogni giuntura, di ogni tendine, poiché questo era il contrario della morte, era ardore e violenza, si esprimeva nel movimento, nello sfrecciare esultante solo le stelle”-Jack London ne Il richiamo della foresta

Certi occhi non lasciano indifferenti e nonostante si possa percepire dagli sguardi la devastazione di un’anima che troppo ha sopportato per poter essere curata e ricostruita, un tentativo lo si fa ugualmente.

Questo ha deciso di fare la donna che si è ritrovata un demonio in casa. Nulla aveva a che fare con i cani da lei posseduti in precedenza.

Questo cane era riuscito a portare il Caos nella sua vita fino a poco prima ordinaria. Caos presente persino nel nome scelto da lei, quasi presagio di ciò che avrebbe sopportato.

Protettivo fino all’estremo, violento con tutti tranne che con lei, irrequieto e indomabile, Osac si insinuerà ben presto nel cuore della donna e del lettore.

Non si può negare, che affiancarsi a qualcuno di disturbato, che può essere un animale, un amico, un compagno, non solo mette a dura prova la resistenza psicologica e fisica di chiunque, ma rischia di distruggere anche il ricordo dei bei momenti passati insieme.

E così se all’amore incondizionato di cui è capace un cane si frappone altro, come in questo caso una gravidanza, le priorità cambiano, i sacrifici si decide di compierli per qualcosa di meno nocivo, per ciò che non danneggi ma migliori la propria vita e si scende a patti con la propria coscienza.

“Si va in campagna, caro mio!” Gli dissi intanto che di fronte a quei preparativi Osac non trovava pace. “Fatti una valigetta pure tu”.

Così Osac, il fiero amico, nero come la pece, innamorato della vita ma spaventato dell’abbandono, in campagna non resterà solo per un breve periodo ma ci passerà gli ultimi anni della sua vita.

La maternità cambia ed è con questo che dovrà fare i conti la protagonista. L’amore senza freni, le energie e i pensieri sono indirizzati solo al figlio tanto desiderato.

“Osac, mi devi credere e perdonare, ma sebbene involontariamente, senza nemmeno accorgermene, è stato tutto il resto dell’universo mondo, proprio tutto, inclusa me, che giorno dopo giorno, paragonato a questo figlio che mi cresco, si è trasformato in piscio di gallina.”

La debolezza dell’uomo, la sua incostanza e il racconto di quanto sia enorme la distanza che intercorre fra il sentimento puro e viscerale di un animale e quello materiale e con scadenza degli esseri umani, sono tutti argomenti che fanno riflettere. Chissà quanti presi dalle difficoltà, dai periodi problematici e frenetici della propria vita trascurano chi amano fino quasi a dimenticarsi della loro presenza…

Se volete commuovervi fino a star male, la storia di Osac, della sua lealtà, della sua disperazione sapranno farlo.

“Parlammo a modo nostro, come solo avviene tra un umano e un cane. Ci scambiammo il dolore ma senza unirlo, perché solo l’animale, quando c’è da soffrire, non si risparmia. Non ne conosce la maniera. E poi resta lì, aggrappato al suo corpaccio che promanava sempre calore, anche in quel pomeriggio di vento fresco. Aveva capito tutto da un pezzo, se non se ne andava era solo per sentimentale purezza, per quel candore che ci disarma anche se poi sappiamo sempre come ristabilirci.”

Scheda del libro

Editore: Neri Pozza
Pagine: 205
Costo: 16,00 euro

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Riparare i viventi di Maylis De Kerangal

“Cosa sia questo cuore umano, (…) cosa l’abbia fatto balzare, vomitare, crescere, danzare in un valzer leggero come una piuma, o pesare come un macigno, cosa l’abbia stordito, cosa l’abbia fatto struggere- l’amore; che cosa sia il cuore di Simon Limbres, che cosa abbia filtrato, registrato, archiviato, scatola nera di un corpo di vent’anni, nessuno lo sa davvero.”

Il cuore. Da sempre considerato la sede dei sentimenti, quello che ci fa capire, se lo sentiamo battere in modo accelerato, che siamo in una situazione di pericolo o che siamo vicini alla persona che amiamo; quel luogo in cui si formano, maturano e crescono le emozioni più forti. Poco importa che tutto parta dal cervello; troppo poco poetico per contare davvero.

È tutto nel cuore. È questo il cardine del romanzo breve di Maylis De Kerangal Riparare i viventi.

La storia è quella di Simon ma potrebbe essere la storia di molti. Simon è un giovane ragazzo di diciannove anni che, di ritorno da una sessione di surf notturno con i suoi amici, è vittima di un incidente. Il van su cui viaggiava andava troppo forte. Un attimo e tutto si annebbia.

Inutile la corsa in ambulanza, il trauma subito è troppo grave. Coma immediato e morte annunciata.

Non posso negare che leggere questo romanzo non è stato semplice. Ad ognuno di noi è capitato di perdere qualcuno che si amava. Ai più sfortunati è toccato il compito che hanno avuto i genitori del ragazzo, Marienne e Sean, quello di decidere cosa farne degli organi del figlio: donarli e permettere ad altri di vivere o lasciare il suo corpo all’apparenza perfetto e vivo ma internamente distrutto, inutile, una scatola vuota?

“Bisogna pensare ai vivi (…), bisogna pensare a quelli che restano. Che fare Nicolas? Seppellire i morti e riparare i viventi.”

Ed è questa la strada che sceglieranno i due. Andare avanti non è mai stato così difficile. Il dramma dei due genitori, la lotta interiore che si troveranno a fronteggiare renderanno difficile al lettore non immedesimarsi nel racconto.

“Sono soli al mondo, la stanchezza li sommerge, è un maremoto.”

Sono stata più volte costretta ad interrompere la lettura.

Il linguaggio della Kerangal passa dal clinico e chirurgico, ( molti saranno i brani interamente dedicati alla medicina e alle procedure seguite nel trapianto e prima nella terapia seguita per Simon) al poetico e raffinato non lasciando spazio all’immaginazione. Il lettore è accompagnato per mano attraverso la distruzione che un evento del genere porta nella vita di chi lo subisce; è come un’onda, l’onda tanto amata dal Simon vivo, quella che lui cavalcava e di cui sapeva descrivere nascita, crescita e morte.

Ed è questa la metafora di vita usata dall’autrice; un ostacolo può interrompere prematuramente il percorso di un’onda facendola infrangere più o meno debolmente. Allo stesso modo un improvviso, brusco arresto può subire la vita di chiunque, distruggendo con la stessa forza di un cataclisma tutto ciò che si trova al contorno.

I personaggi che fanno parte della narrazione sono numerosi e ognuno di loro fornirà un ricordo del Simon vivo guidando il lettore verso la consapevolezza che sì, bisogna davvero scendere a patti con la propria disperazione perché in ogni cosa, anche in un semplice ricordo c’è vita.

Restare attaccati all’idea che un corpo intonso possa contenere l’essenza di una persona è pura follia.

“Che ne sarà dell’amore di Juliette una volta che il cuore di Simon ricomincerà a battere dentro un corpo sconosciuto, che ne sarà di tutto quel che riempiva quel cuore, dei suoi affetti lentamente stratificati dal primo giorno o trasmessi qua e là in uno slancio d’entusiasmo o in un accesso di collera, le sue amicizie e le sue avversioni, i suoi rancori, la sua veemenza, le sue passioni tristi e tenere? Che ne sarà delle scariche elettriche che gli sfondavano il cuore traboccante, pieno, troppo pieno, quel cuore full?”

Bisogna andare avanti e pensare a chi resta.
Scheda del libro

Editore: Feltrinelli

Pagine: 218

Prezzo: 16 euro

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Challenger-Guillem López

 

#73

Challenger

Cape Canaveral, Florida 11:38 a.m.

Il conto alla rovescia è iniziato.Sono successe molte cose da quando gli occupanti della navicella spaziale Challenger sono saliti a bordo e hanno occupato i loro posti. Cose che sono strettamente legate a questa storia, anche se sono successe in altri posti, in altri momenti. È una cosa complicata che dipende, come tutto ciò che è complicato, dalla fede e dell’immaginazione.”

Non mi è capitato spesso di leggere qualcosa che non riuscissi a classificare. Challenger di Guillem López non ha una sola anima; non può essere limitato al genere romanzo di fantascienza, ma è qualcosa di più. Tutto parte il 28 gennaio 1986 con il lancio della navetta spaziale che ha dato il titolo al romanzo.


Ma le cose non andranno come da programma; la navetta infatti dopo soli 73 secondi dal suo decollo esploderà, riempiendo il cielo della Florida dei suoi detriti e illuminando con la forza della sua esplosione, pochi istanti della vita dei protagonisti attraverso lo schermo delle televisioni dalle quali i vari personaggi seguiranno la vicenda. Sì, perché questo è un racconto corale, un dipinto che per completarsi ha bisogno di vari colori, distinti, ognuno con la sua sfumatura precisa.

L’autore deciderà di dividere la narrazione in settantatré brevi racconti, ognuno autoconclusivo certo, ma legato ai successivi grazie a particolari elementi. Ed è questo ciò che più ho amato, il fatto che nonostante i vari microsistemi siano racchiusi nei confini del singolo racconto, siano solo il pezzo di un puzzle più grande e complesso, quello della Miami nella quale tutto si muove con la sua pluralità di voci e di storie.

Proprio per questo al libro è allegata la mappa della città, con i nomi dei vari protagonisti ed una timeline sulla quale ci si può appuntare l’ora in cui hanno luogo i numerosi eventi raccontati, e come un moderno Sherlock, cercare di trovare il bandolo della matassa.

“Che valore può avere la vita di un singolo in confronto alla rivoluzione? Che valore ha il suo beneficio in confronto al beneficio della specie? Che valore ha la sua sofferenza in confronto al mutamento delle coscienze di una nuova era?”

Oltre alle storie, nelle quali trovano voce tutti, dai bambini, alle liceali, ai professori, agli immigrati, molte sono le riflessioni di una profondità che non ci si aspetta.

Ecco una delle mie preferite

“Esiste un inizio? Esiste davvero? Come si può riconoscerlo nell’infinita catena di cause, conseguenze, previsioni? Il tempo ad esempio. Avrà una fine? Cosa c’era prima? Ci sarà qualcosa dopo? Ah, il tempo. La vera dimensione sconosciuta. La variabile ingannevole, contorta, schiva, gelatinosa che ci si insinua dentro, nelle viscere. (…)La realtà è là fuori, oltre lo specchio, è quel numero infinito di possibilità che si ripercuotono sul caos onnipresente, è ovunque e in nessun posto. Siamo figli dell’incertezza, in balia del nostro io più primitivo e vittime della casualità.”

Se vi piacciono le letture particolari, originali di quelle che ci sorprendono ad ogni pagina, leggetelo e consigliatelo a vostra volta.

“Vivere significa mantenere l’equilibrio e cercare di cadere il più tardi possibile, perché alla fine tutti cadiamo, tutti. Per questo è impossibile decidere la rotta dell’esistenza. Gli asteroidi viaggiano senza meta, spinti e attratti dalla gravità di altri corpi celesti. A volte si disintegrano l’uno contro l’altro. Nascere significa lanciarsi spinti dalla forza d’ inerzia del nostro retaggio, fatto di principi morali e di abitudini, in questo caotico ballo di forze invisibili e fluttuare da una parte all’altra della galassia, dell’asilo alla pensione. A che serve negarlo? Nessuno controlla niente.”

SCHEDA LIBRO

Editore: Eris Edizioni
Pagine: 401
Prezzo: 20 euro

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Presentazione de Le notti blu di Chiara Marchelli

Il 17 giugno alla libreria Culture Club di Mola di Bari, Ilaria Amoruso e Nicole Zoi Gatto assieme alla giornalista Annamaria Minunno, hanno avuto il piacere di presentare Chiara Marchelli e il suo libro Le notti blu edito dalla Giulio Perrone editore.

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Di seguito vi riportiamo le domande e le risposte più salienti venute fuori dall’interessante conversazione con l’autrice.  (Per la recensione, la trama e saperne di più, qui )

Si può notare come lei abbia deciso di collegare ai ricordi, odori ben precisi e a loro modo forti e presenti nella mente dei protagonisti, come le acciughe all’inizio del libro o il latte e miele delle notti insonni di Mirko.
Come mai questa scelta?

Il libro comincia con un odore, e molto spesso i nostri ricordi sono legati a un odore, perché siamo fatti così, la memoria funziona in questo modo. La vita, la letteratura è fatta di pensieri e ricordi, di quello che sentiamo, proviamo, delle emozioni ma anche delle parole. Insomma siamo fatti a 360 gradi, siamo dei sistemi che pensano, mangiano, dormono, e ciò che cerco, quello che secondo me è la letteratura a cui io aspiro e ciò che la scrittura dovrebbe fare è restituire la vita così com’è. Per ciò non soltanto i pensieri, le emozioni, i nostri voli pindarici su quanto la vita possa avere valore e perché tanto è già stato scritto meglio di chiunque possa farlo oggi, mille anni fa, tanto vale gettare la spugna. Ma quello che ci possiamo fare è fare la nostra parte, è fare il nostro tentativo. E la vita per come la vedo io quando si scrive non bisogna descriverla; l’attenzione al linguaggio che ho dovuto e voluto porre per non scadere subito nel sentimentalismo affrontando un tema di questo tipo. E la vita va mostrata quando si scrive non va descritta, non va definita. Non credo che sia necessario raccontare per filo e per segno come è fatto un tavolino, per esempio. Si può benissimo dire che ha tre gambe ed è tondo e poi la vostra immaginazione fa il resto e così come lascio spazio all’immaginazione raccontando le cose, vorrei offrire un quadro più completo possibile di quello che succede in quel momento perché mi piace pensare che leggendo una pagina ci sia quello che esattamente succede, lo svolgersi della storia e di tutto quello che implica e quindi anche il vivere. Poi il fatto che le acciughe in questo contesto siano collegate a qualcosa di negativo e quello del latte e miele a qualcosa di positivo è contestualizzato alla situazione, nel senso che Michele stava mangiando le acciughe quando è successo e il figlio si è ucciso, ma poteva essere qualsiasi altra cosa, non c’è un’intenzione, è che le cose succedono anche in questo modo e molto spesso, appunto, per come funziona la memoria ogni volta che senti un odore vai allo stesso ricordo.

Lo stile del romanzo è chirurgico, asettico. Ma proprio per questo fa arrivare ancor più forte il dolore, il disagio, il grido della disperazione di Michele e Larissa, come mai ha scelto di raccontare così il dolore? Ed inoltre perché proprio soffermarsi sulla teoria dei giochi di Nash? 

Sempre da quando scrivo sono alla ricerca dello stile. Come facciamo tutti, un pittore cerca il suo modo di dipingere, chi canta la sua voce ecc e quindi è un percorso iniziato prestissimo, perché ho iniziato a scrivere prestissimo. Ho provato varie cose però piano piano già da parecchio tempo mi sono diretta su questo stile più essenziale possibile, anche perché prediligo in generale scritture così. La ricerca linguistica è sempre stata vigilata, per quanto mi riguarda, ma in questo caso a maggior ragione proprio il tema,  l’argomento era talmente delicato e il rischio talmente grosso che sbagliando una parola, mettendo un aggettivo di troppo si sarebbe rovinato tutto. Si rovina l’intento, l’impegno, si manca di rispetto. Affrontando un argomento di questo tipo io credo che si debba stare doppiamente attenti perché appunto basta un niente e si finisce nello sciacallaggio sentimentale che è una cosa che io volevo assolutamente evitare. Quindi con rigore ho scritto e poi riscritto, e poi fatto le revisioni fino a che addirittura talvolta quello che scrivevo era incomprensibile a me stessa perché ho tagliato talmente tanto che non capivo più cosa c’era scritto. Per cui ho dovuto fare il percorso inverso però avevo sempre in mente questo dictat che era il rispetto ma non il rispetto del dolore proprio perché il compito della letteratura è quello di indagare sui sentimenti, di rivoltare le cose di entrare dentro il dolore e cercare di esplorarlo per tentare di distillare la vita, sennò la letteratura non serve a niente. Antonio Tabucchi, Giorgio van Straten molto prima di noi dicevano che la letteratura non deve essere consolatoria, non deve servire a farci star bene, la letteratura dovrebbe aiutarci a farci pensare nel peggiore dei casi e a farci star male nel migliore dei casi, poi è anche un luogo dove si trova la cura perché lì c’è già tutto. Quindi per me era necessario evitare di sporcare la storia, la forma di rispetto era in questo senso.

E per quanto riguarda la teoria dei giochi: Michele che è un insegnante di economia alla Scuola di Economia di New York, mi è venuto un po’ fuori così. Doveva essere un professore di una materia scientifica perché così doveva essere il personaggio e quello che è successo a me è quello di cui parlano sempre Dacia Maraini che Camilleri e tantissimi altri, cioè che i personaggi si formano un pochino da sé una volta che hai delineato, che hai chiaro in testa più o meno come devono essere. Io non credo che siamo dei pazzi penso che la creatività funzioni in modo tale che tu parti da un’idea, da una suggestione, da un’intenzione e sei talmente dentro alla storia che i personaggi davvero si formano da sé. Ma nel frattempo abbiamo visto, filtrato, vissuto e conosciuto perciò vai anche a pescare laddove conosci. Il problema di Michele è che io mi sono accorta che sarebbe potuto essere un professore di economia trattante la teoria dei giochi, cose che non conoscevo affatto. Per cui ho studiato il più possibile, poi naturalmente prima di mandare il libro in stampa ho fatto correggere a chi ne sapeva, sbagli grandi non ne ho fatti anche perché non sono entrata così tanto nella teoria, a parte il teorema. E si è scelta da sé perché è perfetta per Michele, appunto parla dei i rapporti con le persone affinché trovino delle strategie per cooperare e arrivare ad un risultato comune e  più decente possibile per tutti. Michele, nei 5 anni che seguono il suicidio di Mirko  non soltanto insegna dei teoria dei giochi ma ci si rifugia, trova lì il proprio perimetro, i propri appigli perché così riesce ad andare avanti, perché così riesce a sopravvivere. Perché questa teoria assomiglia abbastanza alla sua vita, ma il quinto anniversario succede una cosa che rompe gli equilibri, quindi sfalda tutto quello che è stato costruito fino a quel momento che obbliga sia Michele che Larissa a fare una scelta, a quel punto lì, tutto ciò che è teorico e gli ha salvato la pelle fino a quel momento salta . E quindi anche nel libro, mi è stato fatto notare ma non me lo ricordo francamente, che all’inizio del libro la teoria dei giochi è molto presente e poi pian piano va sfumando, proprio perché in effetti l’evoluzione di Michele fa sì che la teoria dei giochi alla fine non abbia più senso.

Come è riuscita ad approcciarsi a questa tematica tanto forte? Ha attinto alla sua esperienza personale?

E’ stato difficile perché è un dolore grande ed è una cosa che grazie al cielo non è toccata a me, se fosse toccata a me invece sarebbe stato tremendo e non so se sarei stata in grado di raccontarlo, ma dato che non è successo, ho potuto fare riferimento soltanto a quello che ho vissuto fino ad adesso, quindi alla mia esperienza, alla mia osservazione, al mio ascolto, ed è stato estremamente faticoso scrivere questo libro. Ricordo che alla presentazione del libro che ha preceduto questo  alla classica domanda se stessi scrivendo qualcos’altro, dissi di si (ed era le notti blu) e mi chiesero come fosse scriverlo ed io risposi “faticoso, è una fatica” ma davvero non riuscivo a dire altro, era incastrata in un punto della narrazione, non riuscivo ad andare avanti perché non mi rendevo tanto conto di stare entrando così tanto dentro a un tentativo dell’esplorazione dei sentimenti di questi due genitori.  Ho molto sofferto scrivendola, è stato faticoso perché a ogni passo c’era un passo dopo , c’era un livello successivo, verso l’alto, verso il basso, ogni volta che entravo nei loro dialoghi, nel loro individualismo, nella loro separazione, nell’unione  dentro al dolore, c’era qualcosa che si aggiungeva.
Si fa tesoro degli strumenti della scrittura che sono  oltre alla lettura, l’osservazione della vita, l’ascolto delle persone, la distanza perché bisogna essere anche un po’ feroci secondo me, per scrivere. Non fermarsi al pudore dell’argomento ma entrare con pudore nell’argomento, nel dolore, nella gioia, nella storia. Oggi mi è successo di avere una conversazione molto intima con una persona che mi ha regalato un segreto, e allora poi cosa fai? Lo usi  perché se scrivi della vita, se scrivi delle cose così come sono, di questo dolore o ne fai qualche uso o non fai lo scrittore.

La narrazione è disposta su tre luoghi diversi: New York, Genova e la Valle D’Aosta, come mai questi luoghi in particolare? Inoltre, sia Larissa che Michele, esprimono la perdita di Mirko in modo differente. Del tutto. Come mai ha scelto di concentrarsi prevalentemente sul dolore di Michele e non su Larissa, la madre di Mirko?

Questi 3 luoghi sono necessari perché sono i miei (la Marchelli è nata ad Aosta e vive a New York). Non ho una fortissima, sviluppatissima immaginazione, perciò non riesco a inventarmi un luogo, generalmente riesco a occuparmi di ciò che conosco. Ad un certo punto mi sono trovata nella mia vita, nella mia geografia interiore e nella scrittura a molti bivi ma soprattutto ad un blocco,  non riuscivo più ad ambientare le storie ad Aosta, perché non ci vivevo da troppo tempo, non sapevo più dove fossero i negozi, i nomi delle vie, gli odori, non vivendolo più non sapevo più riportarlo esattamente. Sono un po’ ragioniera nell’ambientazione del personaggio, devo conoscere tutto a menadito e poi magari uso un centesimo di tutto però se non ce l’ho, non riesco a scrivere. E arrivata a quel punto lì mi sono detta che non potevo ambientare solo tutto a New York, non me la sentivo, non è la mia casa, non è la mia identità, lingua e allora mi sono fermata per un pochino e poi ho capito che dovevo fare il punto con quello che avevo, nonostante questa cosa che di mescolare le mie geografie, scrivendo in italiano ma vivendo in inglese, andando avanti e indietro tra gli Stati Uniti e l’Italia, non appartenesse a nessun genere letterario riconosciuto. Sono fuori dagli schemi.
Sono uscita dal problema usando le cose che c’erano a disposizione e perciò ho scritto come soltanto posso scrivere cioè muovendomi tra questi vari territori. Inoltre generalmente quando parlo d’Italia si tratta o di memoria o di famiglia cioè quello che per me l’italia è oggi, mentre New York è il quotidiano, il lavoro. Ho formato un’identità personale e letteraria a sé che adesso è la mia cifra, non saprei fare altro.

Per quanto riguardo il punto di vista maschile, mi è sempre venuto istintivo parlare dal punto di vista maschile e può essere per varie ragioni o perché possiedo una parte di me molto maschile, che ragiona in un modo molto maschile, e quindi ho familiarità con il genere oppure il contrario cioè che prendo una tale distanza dal genere, osservo con una tale attenzione che non rischio di immedesimarmi perché ogni volta che ho tentato di scrivere dal punto di vista femminile, parlando magari di una persona della mia età sono cascata nella tentazione miserrima di parlare di me stessa, e non è un peccato parlare di sé, ma non so farlo io, mi annoio mortalmente e penso di essere estremamente noiosa mentre lo faccio. Quindi è meglio per me, se devo parlare al femminile così come ho fatto per Larissa affrontarlo dal punto di vista di una persona che non ha la vita che ho io, che è lontano da ciò che sono.

Ma passiamo a Caterina, la moglie di Mirko. Già è difficile perdere qualcuno che si ama, ma scoprire che la persona con la quale si condivideva la vita nascondeva in realtà un segreto credo sia devastante. Come è riuscita a raccontare questo personaggio che mi ha dato la sensazione fosse destinata a un ruolo di maggiore rilievo nel racconto, poi ridimensionato?

Nelle mie prime stesure del romanzo, Caterina aveva molto più spazio , ma sono stata spietata, l’ho tagliata, una grande metà. L’intenzione iniziale era di dare tre punti di vista diversi, ma poi diventava un libro corale che non ho saputo scrivere. E allora da una parte mi sono concentrata sempre di più sul punto di vista di Michele e mi è interessato sempre di più entrare nel punto di vista di un padre che perde un figlio, di un marito, di un suocero. Dall’altra parte però ho sofferto nel tagliare Caterina, mi è dispiaciuto perché è vero che meritava di più, insomma è protagonista di quel dolore tanto quanto gli altri però a me era venuta fuori livida, troppo mono dimensionale. Se dovessi riscrivere “Le notti blu” dal punto di vista di Caterina verrebbe fuori una tavola, un sentire e un pensare quasi legnoso, perché lei in quel momento della storia è ancora bloccata là, non ha fatto nessuna evoluzione, è ancora inferocita, tradita. Quindi quando ho capito che mi allontanavo dall’intento che è appunto quella della vita e non della morte, ho capito che era necessario tagliarla.

Che legge di solito Chiara? Quali sono i libri della sua vita e quali invece quelli che l’hanno accompagnata durante la stesura del romanzo?

Allora i miei libri non saprei elencarli, non so mai rispondere a questa domanda. Sono abbastanza onnivora, ho iniziato a leggere tardi per uno scrittore (secondo me) a dodici, tredici anni ma più seriamente al liceo mi sono bevuta tutti i russi, poi i francesi e gli inglesi ( i classici). Poi, dato che mi sono laureata in lingue orientali, ho avuto tutto il momento della letteratura orientale e poi ho maturato gusti sempre più contemporanei, ultimamente la Ernaux, Lucia Berlin, Marguerite Duras, Alice Munro , Roth, Hemingway, lui mi piace perché è un furibondo, un feroce. Durante la stesura de “Le notti blu” forse già leggevo la Ernaux, ma non me lo ricordo con esattezza, a furia di scrivere sono riuscita ad operare una distinzione tra quello che leggo e quello che scrivo. Ci sono degli scrittori che si rifiutano di leggere mentre scrivono perché sono come delle spugne, io divento spugna nei confronti delle cose, delle persone, dei dialoghi, di quello che posso rubare dalla vita, ma non tanto nei confronti degli scrittori. Lo divento di più quando non sto scrivendo perché sono alla ricerca di idee, cambiamenti di stile, mi piace tentare di cambiare sempre.

Cosa sono per lei Le notti blu, esistono nel suo mondo? 

Le notti blu esistono perché sono un po’ le notti di tutti no? Blu in particolare perché questo blu è un illusione, quello che noi vediamo è un’illusione, quindi è anche una metafora della vita. Quello di cui siamo assolutamente certi, molto spesso non è così, fortunatamente o no. Poi le notti se sono insonni,  sono anche mie perché a tratti soffro di insonnia. Se sono notti come quelle di Mirko in cui ci si immagina, cresce, ama, ovviamente si, secondo me le notti blu sono un po’ le notti di tutti. Poi di autobiografico in questo libro c’è pochissimo se non la sistemazione del mondo, il filtro attraverso cui scrivo. Roth dice questo: non è l’importante quello che io chiamo l’anagrafe dentro ai libri e lui  l’elemento autobiografico, vero, infatti, poco dovrebbe avere a che fare con la vita dello scrittore, dovrebbe invece avere a che fare con ciò che lo scrittore decide di raccontare quindi l’argomento che sceglie, i personaggi che abitano il libro, i meccanismi, i sentimenti, i pensieri che trasferisce dentro ai personaggi perché in qualche modo o sono i tuoi, o sono quelli che hai assorbito dagli altri, quindi io taglio sempre l’elemento autobiografico o biografico perché mi piacerebbe andare a toccare delle corde che sono universali.

Una presentazione ricca di emozioni e di spunti quella della Marchelli, una scrittrice attenta e sublime che ringraziamo per aver apprezzato e risposto alle diverse domande.

 

 

 

 

 

 

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Presentazione La bambina e il sognatore-Dacia Maraini

Venerdì 26 maggio ho avuto l’opportunità di assistere alla presentazione del libro “La bambina e il sognatore” di Dacia Maraini alla Libreria Culture Club di Mola di Bari dove vivo. Dal momento in cui è entrata nella stanza nella quale si sarebbe tenuto l’evento, ho capito che avrei amato ogni sua parola.

Si è posta in maniera sicura, ha espresso senza filtri le sue opinioni e ha saputo conquistare tutto l’uditorio.

Siamo stati immersi nella storia sin da subito grazie alla lettura di un brano che ci ha dato modo di iniziare a fare la conoscenza di Nani Sapienza, il protagonista. Nonostante lei sia sempre ricorsa a protagoniste femminili, in questo suo ultimo romanzo il cardine della storia è un uomo, un maestro di scuola elementare, quel maestro che tutti avremmo voluto avere, spinto dall’amore per la conoscenza e la lettura.

Ma nella sua vita c’è un ombra; Nani ha subito una grave perdita, quella della figlia Martina, che ha distrutto il suo matrimonio, ma che non gli ha fatto perdere entusiasmo per il suo lavoro o positività nel porsi con i suoi allievi. Non si lascerà andare alla disperazione e cercherà in ogni modo di far appassionare i suoi studenti ai libri, leggendoli fiabe e stimolando la loro immaginazione e l’uso del ragionamento. Come la stessa Maraini afferma:

“L’informazione dovrebbe essere ricerca, dubbio, un interrogarsi e discutere sui grandi problemi che ci riguardano. Mentre spesso si cade nel sensazionale e nel patetico. Si cerca di colpire allo stomaco lo spettatore anziché farlo ragionare.”

Ma accanto alla parte razionale trova posto l’irrazionalità della dimensione onirica: un sogno che avrà come protagonista una bambina, Lucia, la stessa che la mattina dopo il maestro vedrà stampata sulle pagine del giornale, perché scomparsa, lo metterà alla prova.
Nani sente che la piccola non è giunta alla sua ora, come invece paiono credere tutti, e perseverando continuerà la ricerca, incontrandosi nel tragitto con se stesso.

Dall’intervista si è evinto quanto i temi dell’abuso e della violenza siano cari alla Maraini che li sviluppa in ogni sua storia.

Alla domanda “Da dove parte per raccontare degli abusi?”, lei ha risposto con una semplicità disarmante.

“Dalla realtà.”

Sì, perché a questo siamo soggetti quotidianamente; notizie di guerre, soprusi, verso tutto e tutti e spesso ci vanno di mezzo anche i bambini.

Per questo l’autrice torna spesso sul tema del sapere e dell’importanza della lettura come stimolo a porsi delle domande.

“La violenza va analizzata senza usare simbolismi. Bisogna comprendere i carnefici a volte vittime a loro volta.La violenza è una ferita sociale che riguarda tutti.”

A questo servono le fiabe nel racconto. In passato venivano usate per far conoscere il male in tutte le sue forme. I bambini in questo modo avrebbero imparato come difendersi essendo preparati. Oggi invece, colpa anche delle varie principesse di turno, la realtà viene edulcorata e resa troppo perfetta, come se il male fosse un concetto inesistente, sospeso, che non ci potrà mai riguardare.

Questo e molto altro mi aspetta fra le pagine di questo romanzo che si prospetta struggente.

Vi lascio con le parole che la Maraini ha pronunciato al Salone del Libro del 2016, che descrivono bene i motivi per i quali questa donna si può solo amare.

“amo i libri e amo moltissimo leggere, classici e libri moderni per cui molte conoscenze che ho del mondo mi vengono attraverso i libri. Quando sono andata per la prima volta a San Pietroburgo che si chiamava Leningrado ora si chiama di nuovo San Pietroburgo, io sono andata a cercare la Neva, sono andata a cercare i luoghi di Dostoevskij perché per me quelli erano i luoghi che avevo già percorso con la mia immaginazione. Chi legge è come se conoscesse altri luoghi attraverso i libri e questo da uno spessore ai luoghi e un calore, un mistero che è dato dal libro che tu hai letto. Il libro crea un qualcosa di forte, un rapporto fra il luogo e tu che leggi. …In ogni posto in cui vado mi porto dietro il mio bagaglio da lettrice. Non è solo un bagaglio, è una sensibilità, è un qualcosa che già conosco, che sta dentro di me e che ritrovo. È un rapporto molto emotivo. …”.

Scheda libro:
Autore: Dacia Maraini

Editore: Rizzoli

Pagine: 411

Prezzo: 20 euro