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La notte di Elie Wiesel: Dov’è il buon Dio?

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 Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l’eternità, del desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima e trasformarono i miei sogni in polvere.

A volte si legge per emozionarsi ed altre per riflettere ma è per libri capaci di suscitare dentro di me entrambe le reazioni che mi piace leggere. Dopo aver letto molto sulla Shoah ogni lettore potrebbe pensare che più nulla gli è sconosciuto. Ma Wiesel non si affida solo alle emozioni, la sua analisi è lucida e impietosa. Si legge questo libro e si avrebbe voglia di comprendere e di avere delle risposte. E poi si cerca il silenzio perché tutto questo dolore affatica e fa male all’anima.

Nella sua breve testimonianza sulla deportazione e la vita nei lager, Wiesel affronta un aspetto spesso poco approfondito: il rapporto con Dio e lo smarrimento della fede. “Ero io l’accusatore e Dio l’accusato” afferma Wiesel,mettendo in discussione molti concetti come fede, dignità, rispetto e vita. Dio diventa l’imputato colpevole di aver lasciato morire il suo popolo. Un Dio che resta immobile di fronte alle atroci sofferenze della sua gente e una volontà divina che pare incomprensibile.

Ma perché, ma perché benedirlo? Tutte le mie fibre si rivoltavano. Per aver fatto bruciare migliaia di bambini nelle fosse? Per aver fatto funzionare sei crematori giorno e notte, anche di sabato e nei giorni di festa? per aver creato nella sua grande potenza Auschwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche di morte? 

A cosa può affidarsi un uomo quando si rende conto di essere “solo al mondo, terribilmente solo, senza Dio” ? Cosa fa in modo che egli si aggrappi alla vita?  È l’istinto di sopravvivenza a prevalere: uomini contro uomini, figli contro gli stessi padri per un tozzo di pane. Wiesel ci trascina con sé in un susseguirsi di immagini dolorose e raccapriccianti: assistiamo ai suoi pensieri più meschini quando comprende che avere una persona cara nel lager vuol dire soffrire di più o alla sua vergogna quando spera di potersi sbarazzare del proprio genitore che viene percepito come un “peso morto”. E poi rancore e senso di colpa perché la debolezza di suo padre minaccia anche la sua vita. Infine, rassegnazione quando assiste impotente al lento spegnersi di suo padre.

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Scrivere per un sopravvissuto vuol dire farlo con una pienezza di emozioni a noi sconosciute. Descrivere ciò che non si può descrivere in 100 pagine, ecco dove arriva la scrittura di Wiesel. Eppure fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno chi fosse Elie Wiesel. Posso dire che un grande uomo conosce le debolezze umane ma solo un grande scrittore sa trasformare il proprio dolore e il dolore di un popolo in letteratura. 

 

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Un thè con Jane Eyre

L’idea di questa rubrica è quella di associare ai libri che leggiamo un cibo a loro ispirato. Ho terminato da poco la lettura di “Jane Eyre” di C. Bronte la cui bellissima recensione è stata scritta dalla nostra Babybooks e potete leggerla qui5913073_344142

La lettura di questo libro mi ha piacevolmente sorpresa. Mi era capitato precedentemente di vederne il film e di solito non amo leggere un libro dopo averne vista la versione cinematografica perchè viene meno l’effetto sorpresa, si sa già come andrà a finire e si hanno già opinioni e pregiudizi sui personaggi.

Sono invece rimasta assolutamente ammaliata dalla scrittura della Bronte, elegante e raffinata, in perfetto stile “British” ma allo stesso tempo moderna. Pagina dopo pagina sono stata partecipe delle emozioni di una Jane che non conoscevo e sono stata accompagnata in un tour guidato delle campagne inglesi e dei modi di vivere della borghesia del 1800. Assoluto protagonista dei pomeriggi inglesi è sicuramente il thè, accompagnato da torte o biscotti di vario genere. Mi sono fatta quindi ispirare proprio dal thè per la prima ricetta di questa rubrica, buona lettura!

BISCOTTI BUSTINA DA THE’

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Ingredienti per 25 bustine

  • Farina tipo 00, 250 gr
  • Zucchero a velo, 125 gr
  • Uova medie, 2 tuorli
  • Burro, 125 g
  • Sale 2 g
  • Cioccolato fondente, 200 gr
  • Vaniglina, 1 bustina

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(1) Aggiungere in un mixer il burro tagliato a pezzi e la farina (2) e frullare fino a quando si otterrà un composto sabbioso (3). (4) Trasferire l’impasto di pasta frolla così ottenuto in una coppa e aggiungere lo zucchero a velo setacciato, i tuorli, il sale e la vaniglina e impastare fino a creare una “palla” che andrà coperta con una pellicola e riposta in frigo per 30 minuti.

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(5) Stendere la pasta frolla in modo che abbia uno spessore di circa 7 mm e ritagliare dei rettangoli di circa 5 cm x 9 cm. (6) Con un coltellino smussare gli angoli in modo tale da ottenere la tipica forma delle bustine da thè e con uno stuzzicadenti praticare un foro nella parte superiore. Infornare i biscotti per 15-20 minuti in forno statico a 180°C. (7) Nel frattempo, sciogliere a bagno maria il cioccolato fondente. (8) Una volta che i biscotti saranno pronti, lasciarli raffreddare e poi intingerli nel cioccolato fuso. Lasciare i biscotti su un foglio di carta forno fino a quando il cioccolato non si sarà solidificato.

I vostri biscotti bustina da thè sono pronti! Spero che questa ricetta semplice semplice vi sia piaciuta e chiedo perdono per le forme un pò irregolari dei miei biscotti, ho ancora tanto da imparare, spero che a voi vengano meglio 😀

Buona merenda e buona lettura!

Sources: GialloZafferano.it


Scheda del libro

  • Titolo: Jane Eyre
  • Autore: C. Bronte
  • Editore: Newton Compton
  • Pagine: 320
  • Prezzo: 3.90 €
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Una morte dolcissima: la trasparenza dei sentimenti

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Il tema di questo libricino è l’agonia dell’anziana madre della scrittrice e il suo lento spegnersi. Simone de Beauvoir racconta il dolore fisico della malata, ne osserva il corpo che si assottiglia e indebolisce mostrando i segni del male inguaribile che la sta consumando. Un libro intimo in cui la scrittrice non nasconde il rapporto conflittuale tra le due dovuto a uno scontro generazionale insanabile e sancisce che “i genitori non comprendono i figli, ma la cosa è reciproca”. Non sfugge all’occhio critico della scrittrice francese l’ingranaggio ospedaliero nel quale il paziente rimane intrappolato: medici, infermieri, diagnosi e decisioni a tal punto da affermare

“Il malato è diventato di loro proprietà (…)”

Alla debolezza fisica si contrappongono il coraggio e la pazienza dell’anziana donna che vorrebbe vivere e non sa che deve morire. In ospedale Françoise ritrova le sue due figlie e riscopre le sensazioni piacevoli delle cose più semplici come il freddo del metallo e il profumo dell’acqua di Colonia. Ad un certo punto della vita, i ruoli si invertono e sono i figli a dover proteggere i genitori e a prendersene cura.

Per me, mia madre era esistita sempre e non avevo mai pensato che l’avrei veduta scomparire un giorno, un giorno assai prossimo.

Chi si aspetta una storia dolce e strappalacrime si sbaglia poiché la prosa della de Beauvoir rimane distaccata e lucida. È evidente la voglia della scrittrice  di ritrarre sua madre così come appare, il più fedelmente possibile.  Imperdibili le riflessioni delle ultime pagine.

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Più che la commemorazione di un defunto, le parole di Simone de Beauvoir assumono la forma di un incoraggiamento a vivere. Fa venir voglia di assaporare ogni istante della vita per coglierne “l’infinito valore”.

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Frammenti di un discorso amoroso: sopravvalutato o sorprendente?

barthes_frammentiRoland Barthes ha il coraggio di parlare dell’innamoramento, un tema su cui tutti credono di poter scrivere. Il suo libro, dal titolo davvero accattivante, è un elenco di frammenti ordinati alfabeticamente che hanno come tema i principali aspetti legati al rapporto amoroso. Di ogni frammento, Barthes fornisce una definizione e delle citazioni di origine diversa (stralci del Werther, letture occasionali e conversazioni private dell’autore) e per farlo gli attinge a un patrimonio culturale davvero ampio (da Oriente a Occidente). Barthes fa accomodare l’innamorato e ne esamina ogni sintomo, ogni segnale, ogni questione d’amore. Scrivere sul discorso amoroso, parlato da milioni di individui eppure così privato e riservato senza banalizzarlo, non deve esser stato facile.

Lo reputo un testo talmente ricco di contenuti da dover esser preso a piccole dosi. Io ne consiglierei, come per i medicinali, l’assunzione al bisogno. Bisognerebbe scriverlo sulla copertina: da assimilare lentamente. Inoltre, la sua lettura non può essere imposta. Credo sia stato questo il nostro errore come gruppo di lettura: averlo scelto come lettura mensile imponeva di leggerlo in poco tempo. Secondo me, molte delle ragazze non lo hanno apprezzato,a tal punto da interrompere la lettura, anche per questo. In un certo senso, il suo essere così innovativo e fuori dagli schemi può non piacere. Illuminante o inattuale, a quasi quarant’anni dalla sua pubblicazione, Frammenti ancora divide i lettori.

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Personalmente, Barthes mi ha fatto venir voglia di rileggere il Werther. Mi sono sentita inadeguata di fronte a un libro così pieno di riferimenti letterari: è un’opera talmente complessa e originale da far chinare il capo al lettore. L’ ho apprezzato, ma so di non averlo fatto fino in fondo. Spero un giorno di impararlo a leggere.

L’errore più grande che si possa fare? Leggerlo velocemente e cercare al suo interno soluzioni e chiarimenti. Il difetto principale di questo libro? Quello di non essere per tutti.

 

Nella mia vita, io incontro milioni di corpi; di questi milioni io posso desiderarne delle centinaia; ma di queste centinaia, io ne amo uno solo.

 

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Diario di bordo – Giorno 12/01/16

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Sciarpa, cappello e un biglietto ancora da timbrare in mano. Aspetto l’autobus cercando di riportare alla mente tutti i dettagli del libro che andremo ad analizzare insieme al resto del gruppo. Mi appunto alcune impressioni, diverse sensazioni provate durante la lettura e un paio di domande da fare anche alle altre ragazze. Ok, oblitero il biglietto e mi sento pronta a questo nuovo e tanto atteso incontro. Oggi, nell’aria, c’è un dettaglio tutto nuovo che rende la mattinata più frizzante e vivace. Cosa? Sara, Mariarita e Francesco. Tre nuovi membri si uniranno a noi in questa riunione!

“Sono arrivati!?”
“Si!”
“Come ti sembrano?”
“Mi piaccionooooo”

I nostri tre compagni di avventura, capitano nell’unico giorno in cui vige solo una regola: IL CAOS. Arriviamo a scaglioni, in ritardo per la prima volta da quando abbiamo iniziato questi incontri (diciamolo u.u è solo Daniela che si fa attendere di solito!) ma tutti siamo accomunati da un’unica cosa; la borsa carica di libri per lo Swap Party.

Sorrisi, risate, il tavolo che si riempie pian piano di libri per lo scambio e una cameriera che, poverina, cerca di capirci qualcosa provando a prendere i nostri ordini. Francesco, serio nel suo ruolo di unico ragazzo in mezzo a mille femmine su di giri, opta per un caffè mentre noi altre ci buttiamo su succhi e cappuccini e, dopo una breve discussione su quanto siano state caloriche queste vacanze di Natale, riteniamo giusto aggiungere pure i biscotti al burro che tanto la prova costume è ancora lontana.

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Intanto, sul tavolo, la nostra torre svetta con nostro sommo piacere. Il mago di Oz viene presto riempiti di bigliettini/richieste, alleanze vengono strette per assicurarsi di ricevere offerte così da poter tentare di portare a casa qualche nuovo romanzo e Sara, con una nonchalance degna di un monarca inglese, poggia sul tavolo il suo mattone da 1220 pagine e che poi cerca di propinare a noi. A lei và però il premio onestà (insieme a Francesco, dai) nell’ammettere che quel romanzo, forse, era una ciofeca. Ahahahah

Inutile dire che in tutto questo periodo di scambi, offerte e corruzione il livello di inquinamento acustico all’interno del locale è salito alle stelle. Qui di seguito una breve istantanea di com’era la situazione al tavolo.

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Per fortuna poi è arrivata Jane Eyre a calmare le acque.
…Più o meno. E’ stata una mattinata ricca che ci ha lasciato con un altro bellisismo ricordo e…diverse domande tipo:

Perdoniamo Daniela che ha abbassato la media del voto finale della nostra Jane? Facciamo passare inosservato il fatto che Patrizia abbia letto sia il libro che il musical (?!?!) del Fantasma dell’opera? Francesco sarà rimasto turbato dai commenti rivolti a James McAvoy e Fassbender da Francesca, Mariarita e la sottoscritta? Lydia riuscirà a superare la delusione di non aver vinto il Mago di Oz o ha già in mente di organizzare una spedizione punitiva a casa di Daniela? Sara smetterà di lanciarmi monetine dentro la mia borsa per colpa dei biscotti? E io riuscirò mai a leggere Il maestro e Margherita anche se è scritto piccolopiccolo?

Per tutte queste risposte, bisognerà attendere il prossimo incontro!

Non mancate 😀

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Ognuno di noi ha bisogno di sogni per vivere

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Immagine presa dal web

Questo è il primo articolo che scrivo, vorrei parlarvi del mio libro preferito, che mi ha fatto innamorare di uno scrittore. Sto parlando di “Oceano mare” di Alessandro Baricco. Ho dovuto leggere questo romanzo per scuola e non me ne sono mai pentita. La prima impressione leggendo le primissime pagine è stata di totale smarrimento, frasi a botta e risposta..poi è stato amore.

Baricco ha uno stile lirico, poetico, tende a spezzare le frasi, ha creato dei personaggi che non sono solo di carta, ma hanno un’anima. Oceano mare è la storia di questi personaggi. E’ un naufragio, morte, amore, dolore, viaggio. Tutti temi che si intrecciano all’interno delle pagine, tutti in un unico luogo, la locanda Almayer (che Baricco prende in prestito dallo scrittore Joseph Conrad). Qui arrivano un professore che studia i limiti del mondo e cerca il limite dell’oceano, una ragazzina ipersensibile che nel mare cerca una cura, una donna che cerca la purificazione dall’adulterio, un uomo nei cui occhi si legge il mondo, un pittore che dipinge quadri tutti bianchi, tentando di dipingere il mare con la sua stessa acqua.

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Poi leggi questo pezzo: 

“Ha 38 anni Bartleboom, lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare le cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi se non a lei?
Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle in grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle: “ti aspettavo!”
Lei aprirà la scatola e lentamente quando vorrà leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu, si prenderà gli anni, i giorni gli istanti, che quell’uomo prima ancora di conoscerla le aveva regalato.
O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell’uomo: “tu sei matto!”… e per sempre lo amerà!”

E lì scatta qualcosa..come si può non provare simpatia per un uomo così?

Vai avanti nella lettura, c’è un naufragio che non ha lasciato dietro di sè solo morte e disperazione, ma anime ferite, che cercano in qualche modo di guarire e meditano vendetta. Tutto ha una fine poi, non ti lascia con i punti interrogativi, ma solo con un senso estremo di pace, la voglia di andare tu stesso in quella locanda, la voglia di camminare in riva al mare sapendo che le tue orme poi verranno cancellate, la voglia di vivere un amore così…

“Venivano dai più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capi a piedi l’universo, e invece neanche si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è meraviglioso. Questo continuerebbero a raccontare, per sempre, nelle terre di Carewall, perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi, lo erano quei due, lontano più di chiunque altro.”

Penso di non essere riuscita neanche lontanamente a trasmettervi quello che ho provato con questo romanzo, ma spero vivamente di avervi messo la pulce nell’orecchio e di avervi fatto venire voglia di immergervi in questo libro 🙂 (La frase del titolo è sempre tratta dal romanzo)

A presto,

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La signora delle camelie: impossibile restare indifferenti!

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Attenzione: probabili spoiler

La signora delle camelie racconta la storia d’amore tra la più corteggiata cortigiana dell’epoca, la famosissima Margherita Gautier e Armando Duval.
Ma le trame a volte sono noiose e in certi casi, come questo, raccontarle è inutile. Ciò che vi farà innamorare di questo libro è ben altro. Ciò che sprigiona è sorprendente.

La prima cosa riguarda l’autore di questo libro: Alexandre Dumas.
Nel settembre del 1844 Alexandre Dumas conosce la bellissima  Marie Duplessis con la quale intrattiene una relazione fino all’agosto del 1845. Trascorrono insieme anche un periodo in campagna, vicino Parigi. La relazione si conclude e Marie si risposa con esito fallimentare. Tornata a Parigi si butta a capofitto, ancora una volta, in una vita sfrenata, ornata di disordini ed eccessi. La tisi, purtroppo, la porterà via nel 1847.

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Ritratto di Marie Duplessis

Ed è solo un anno dopo che La signora delle camelie viene pubblicato. Marie diventa Margherita e Alexandre diventa Armando. Tutti i ricordi dei momenti felici, disastrosi, travagliati, dolci, vengono trasposti con estrema bravura e sentimento profondo sulle pagine di questo libro che diventerà il capolavoro di Dumas.
Quali i reali fatti accaduti, quali gli espedienti e le aggiunte letterarie, non ci è dato sapere. Ma ciò che ci viene narrato sprigiona una tale profondità di sentimenti che non ci occorre conoscere tutte le verità sui fatti della coppia Marie/Alexandre, ne abbiamo una inconfutabile e assoluta: Alexandre ha amato teneramente e con passione, e senza ombra di dubbio, con dolore.

Impossibile per il lettore restare  indifferente.

Dumas scrive con uno stile poetico e ricco di dettagli. La lettura è fluida e incalzante. Staccare gli occhi dalla pagina risulta difficile, le uniche pause concesse sono quelle per pensare, prendere un respiro prima di buttarsi nuovamente a capofitto in un calderone di emozioni e… quelle per asciugarsi naso e occhi!

I pregi di questo romanzo sono davvero molti, e sommergono completamente, se ce ne sono, tutti i difetti che un lettore attento e puntiglioso potrebbe dire di aver trovato.
La signora delle camelie non è soltanto il racconto di un amore travagliato. Quello che vi ho trovato con immenso piacere è la scoperta della capacità di amare in un personaggio descritto inizialmente come estraneo all’amore.

“Quelli che avevano amato Margherita non si contavano più, e quelli che lei aveva amato non si contavano ancora.”

Una dolcezza senza fine in un personaggio superbo, che riesce (perché “riuscire” è il termine esatto), in una società che la costruisce come mantenuta e donna viziosa, ad innamorarsi e a cambiare.
Margherita Gautier è due gradini sopra a qualsiasi personaggio della storia, Armando compreso, che risulta a volte essere fin troppo incosciente e capriccioso.

Davvero affascinante è anche il costante rapporto tra morale e sentimento. Margherita è sulla via della redenzione, fa progetti con Armando, e insieme sono pronti a condannare qualsiasi ipocrisia sociale per costruire una vita diversa, insieme.

“Il cielo gioisce più per il pentimento di un peccatore che per cento giusti che non hanno mai peccato.” 

Ma è proprio quella morale tanto combattuta che alla fine riesce a separarli. E’ infatti per salvare l’onore della sorella che Margherita sceglie di allontanarsi da Armando.

L’amore cede quindi il posto all’onore e all’ipocrisia?
Ovviamente no.
La morale alla fine non può essere estirpata e vince sui due innamorati, ma non sui loro sentimenti. Fino all’ultima pagina, anche se sarà triste, anche se sarà amaro, ciò che Armando prova, che è ciò che Marguerite prova, non muore.

Cos’è quindi la signora delle camelie?
Un capolavoro imperdibile e un classico intramontabile. Un carico d’emozioni, una lezione di vita.

“L’ultima volta che era venuta, sedeva là, allo stesso posto, ma da allora s’era preso un altro amante, e altri baci dai miei avevano premuto le sue labbra. Eppure alle sue labbra anelavano le mie, e sentivo d’amarla ancora ugualmente e forse di più di quanto l’avessi mai amata.”

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Greta Garbo e Robert Taylor in “Camille” film diretto da J. Gordon Edwards (1917)

 

 

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Due: L’amore secondo Irene Nemirovsky

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Irene Nemirovsky accende i riflettori su alcuni giovani reduci dalla guerra mossi dal frenetico impulso a vivere appieno la vita e dal desiderio ardente di inseguire un attimo di piacere. È una generazione che vuole rinascere e dimenticare in fretta la guerra appena conclusa. Siamo a Parigi negli anni 20, quelli delle feste nei salotti, dove l’età della spensieratezza può svanire in un attimo per fare largo al tormento delle passioni. Lo slancio degli amori giovanili e le speranze della vita di coppia hanno vita breve, perché “la passione sembra un dono di Dio (…) e Lui ce la concede per poco tempo”. La passione infuocata della gioventù lascia spazio al matrimonio, ai fatti quotidiani e alle banalità di ogni giorno. Eppure pare che più due persone si conoscano e più diventino estranee. La scintilla del desiderio si spegne. È il trionfo del disincanto.

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Più che una penna sembra una lama quella che ha tra le mani la scrittrice, tanto è cinica e profonda la sua indagine delle debolezze dell’animo umano. L’autrice ritrae l’incapacità dei personaggi di raggiungere una felicità completa e appagante. Emergono i rimpianti per ciò che è stato e i rimorsi per quello che sarebbe potuto essere. Tradimenti, bugie, silenzi, pentimento, indifferenza, compromesso. Con una prosa raffinata ed elegante, la Nemirovsky scrive un atto d’accusa contro l’ipocrisia borghese che lei conosce così tanto bene. Non è difficile cogliere un riflesso autobiografico nel romanzo: lei, figlia di un ricco banchiere, cresciuta nel disinteresse materno a tal punto da essere educata dalla governante, non può che analizzare in modo lucido e spietato i rapporti coniugali e affermare:

Il matrimonio non ha bisogno della persona reale, bensì dell’apparenza, della maschera.

La trama è ridotta al minimo e diventa quasi superflua tanta è la bravura della scrittrice nel cogliere e raccontare le innumerevoli trasformazioni dell’amore, o presunto tale. I sentimenti si evolvono, cambiano forma e con gli anni di vita in comune il matrimonio diviene una pace accumulata a fatica e conquistata a caro prezzo. Non vi è ironia, né giudizio nelle parole della Nemirovsky ma solo tanta onestà. Tanto onesta da imbarazzare.

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Pur essendo stato pubblicato nel 1939, la 1°edizione italiana di Due è apparsa solo nel 2010. Il romanzo rispecchia la società borghese degli anni 30 eppure i personaggi non ci appaiono anacronistici anzi, non può che stupire la modernità dell’analisi psicologica. Ma se il contesto storico è cambiato, l’incapacità di essere soli e quella di essere in due ci appartengono ancora. E se per noi comuni mortali, l’amore rimane indecifrabile, Irene Nemirovsky ne racchiude il senso più intimo e delicato in poche righe:

Avrebbe aspettato che lei si addormentasse per riaccendere e mettersi a leggere. E lei avrebbe tenuto gli occhi chiusi fingendo di dormire: sapeva che gli piaceva leggere in pace.

 

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Espiazione: delizioso, disperato e doloroso

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Chapeau McEwan! Iniziare l’anno con una lettura del genere è davvero una fortuna. Espiazione è un libro elaborato e complesso, un romanzo potente dalla scrittura magistrale. Il lettore assiste all’uscita di Briony dal mondo dell’infanzia quando la piccola Tallis assume il ruolo di testimone oculare di un crimine. Purtroppo la superficialità e presunzione dei suoi 13 anni le faranno accusare un innocente. L’interpretazione dei fatti di una fanciulla dalla fervida immaginazione diventa una verità indiscutibile.

McEwan affronta temi delicati come la cruda descrizione degli scenari della Seconda Guerra mondiale creando un’analogia fra l’errore di Briony e l’errore supremo compiuto dagli adulti, quello della guerra. All’orrore della guerra si affianca quello dell’ingiustizia e della mancata verità. Nella terza parte del romanzo troviamo Briony che, nel suo percorso di espiazione, è diventata un’infermiera e si prende cura di uomini che la guerra ha ferito nel corpo e nell’anima. E come nella vita vera, l’espiazione di una colpa passa per il riconoscimento e l’ammissione di un errore. Alla fine, sarà Briony stessa a dare tutte le risposte che il lettore si aspetta.

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Per chi non lo ha letto, fatelo. Non prendetelo in prestito, sarebbe inutile. Lo andreste a comprare appena terminata la lettura per averlo nella vostra libreria, oppure non riportereste la copia in biblioteca o peggio ancora non la ridareste al vostro amico così gentile da prestarvela. E questo non si fa! 😉

Vi siete mai chiesti quanto una giornata può influenzare tutta la vostra vita? Questo libro è la risposta.

Una storia che costringe il lettore a porsi una domanda: e se fosse successo a me?
Espiazione è tutto questo e molto altro ancora.

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Adesso parliamo del finale quindi per chi non ha letto il libro: NON LEGGETE!

Nell’ultima parte scopriamo che Briony è un’anziana scrittrice di successo. Gli indizi disseminati nel romanzo e il colpo di scena finale conducono a una conclusione amara. Scrivere la storia di Cecilia e Robbie è stato per Briony l’unico modo di riconciliarsi con se stessa e con il suo passato. Ma il lieto fine è solo sulla carta, la realtà è ben diversa: i due innamorati sono morti durante la Seconda Guerra mondiale senza rivedersi. L’amore di Robbie e Cecilia, separati dalla guerra e da un errore umano, viene reso eterno dal potere delle parole. La visione del mondo che prende vita dalla penna di Briony è l’inutile tentativo di riparare a un torto fatto. È solo attraverso la sua creazione letteraria che Briony può donare un lieto fine alla storia d’amore dei due giovani che hanno sofferto a causa sua. Quindi Briony ha espiato le sue colpe, ma non potrà mai ripararle. Nonostante le sue indiscutibili responsabilità, è inevitabile che il lettore provi compassione per Briony, vittima di se stessa e della sua imprudenza. Alla fine del romanzo diventa davvero difficile distinguere tra colpevoli e innocenti. Esplorando i labili confini tra finzione e realtà, McEwan rende omaggio al potere creativo della scrittura. E se lui è senza dubbio promosso con ottimi voti, condannare o perdonare Briony spetta a ciascun lettore.

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Le meccanica…della pazienza

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Uno, non toccare le lancette.
Due, domina la rabbia.
Tre, non innamorarti, mai e poi mai.
Altrimenti, nell’orologio del tuo cuore, la grande lancetta delle ore ti trafiggerà per sempre la pelle,
le tue ossa si frantumeranno,
e la meccanica del cuore andrà di nuovo in pezzi.

Il libro “La meccanica del cuore” inizia con questa frase che, almeno per me, è sufficiente per farmi credere che forse mi trovo davanti a una lettura piacevole, di quelle che si fanno tutte d’un fiato. Sarà così? Decisamente no. Per citare l’ammiraglio Ackbar di StarWars “ITS A TRAP!”. Partiamo con ordine e lasciate che vi racconti la trama.

Il piccolo Jack nasce nella notte più fredda di Edimburgo e il suo cuore, per questo motivo, si ghiaccia.  Madeleine, la donna che aiuta la madre a partorire, lo salva impiantando un orologio nel suo petto: gli ingranaggi meccanici aiuteranno il cuore ghiacciato a battere. E fin qui il lettore scava ancora un po’ sul cuscino del divano per sistemare la propria nicchia sicura, così da prepararsi ad andare avanti con la storia. La madre del piccolo è una prostituta che, non avendo nessuna intenzione di tenerlo, lo lascia a Madeleine che accetta di prendersene cura. Jack, quindi, cresce in cima alla collina di Edimburgo, nascosto agli occhi della società per la sua bizzarria (ndr. qualcuno ha detto Edward mani di forbice?)fino a quando, all’età di dieci anni, non convince la sua mamma adottiva a portarlo in città. Dopo mille raccomandazioni i due, finalmente, partono in direzione del centro cittadino e lui, come nel più classico dei cliché si innamora perdutamente di un’altra bambina.

Apriamo una parentesi: mio fratello, quando aveva dieci anni, le ragazze le notava solo se c’era da fare un gruppo per giocare a nascondino. Il nostro Jack invece è bello precoce e pur avendo vissuto tutto questo tempo rinchiuso in casa, capisce subito che quello è amMore (una sola “emme” non sarebbe sufficiente per far capire lo stato di sublime perdizione verso cui precipita il ragazzino) e così torna a casa e scalpita perché deve ritrovarla. Il bambino (perché di questo si tratta) ci fa subito notare i primi segni di una mal celata pulsione sessuale: non fa altro, ad esempio, che pensare ai seni di Miss Acacia, l’altra bambina, che vengono descritti simili a delle meringhe di cui vorrebbe abbuffarsi; nel sognarla in versione “micromachine” la vede appollaiata sull’orologio e…

Poi comincia a leccarmi delicatamente la lancetta dei minuti.

A questo punto, nel silenzio della mia stanza, si è alzato un sonoro “Ma fammi il piacere!”. Sarà che io l’amore di questo tipo, che stravolge e rende ossessivi, proprio non riesco a concepirlo se usato per un personaggio bambino. Ad ogni modo, da quel momento succede di tutto. Naturalmente evito di raccontare i dettagli, ma posso dirvi che il libro, pur essendo di sole 160 pagine è una montagna russa per quanto riguarda il suo indice di gradimento. Amerete le prime pagine, poi le odierete, poi tornerete ad apprezzare le venti successive, poi il capitolo dopo sarete quasi tentati di smettere di leggere…insomma, un delirio. In tutto questo vedremo i personaggi rimanere sempre uguali, non maturare o cambiare mai e faremo fatica, per questo, a immaginarli crescere. Quindi Miss Acacia resterà sempre un po’ rimbambita, Jack non perderà mai la sua fissazione morbosa verso il gentil sesso, etc, etc.

Per chi è abituato a leggere Erri De Luca saprà che spesso, questo autore, concede alla sua poesia diversi capitoli ed è forse questo a farci innamorare dei suoi libri. Mathias Malzieu tenta a sua volta la via della poetica con risultati, a parer mio, esilaranti. Sono del parere che, per inserire scene simboliche, sia necessario accompagnare il lettore e non buttarle lì, di punto in bianco, perché il risultato stonerebbe con tutto il resto. Questo è un estratto “poetico” in un momento random del libro:

Dai, vieni mio albero in fiore, stasera spegneremo la luce e sui tuoi boccioli poserò gli occhiali. Con la punta dei rami segnerai la volta celeste e scuoterai il tronco invisibile che sostiene la luna. Nuovi sogni cadranno ai nostri piedi come neve tiepida. Pianterai a terra le tue radici a forma di tacchi a spillo, che faranno saldamente presa. Lascia che mi arrampichi sul tuo cuore di bambù, voglio dormire accanto a te.

E ancora, una perla che io ritengo comica e fuori luogo

Quando arriva con le sue labbra (ndr. agli ingranaggi che lui ha nel petto, non pensate male) mi fa l’effetto della fata turchina di Pinocchio, ma più realistico. Ma non è il naso ad allungarsi.Kowalski-Facepalm-penguins-of-madagascar-22474060-639-480

Concludo con questa frase meritevole del Pulitzer e vi dico che, se non avete voglia di leggere il libro, potete anche scegliere l’opzione animata visto che è stato prodotto un film basato su questa storia. Qualora decidiate di guardarlo, fatemi sapere il vostro parere. Io non mi sento, nonostante tutto, di sconsigliarvelo. Noi divoratori di libri siamo tanto diversi quanto vari, quindi quello che per me è stato un flop per voi, magari, sarà il libro della vita!

PS: Grazie a Patrizia per la foto del libro.